In alcune parti del mondo sono già spariti, in altre sono destinati a fare altrettanto: la pericolosa situazione dei ghiacciai
Anno dopo anno si registrano tristi record relativi alle devastanti conseguenze del cambiamento climatico e del surriscaldamento globale. L’ultimo riguarda la Slovenia e il Venezuela che hanno definitivamente perso tutti i ghiacciai che avevano. Un destino che potrebbe presto riguardare anche altri paesi, soprattutto in Sud America – tra cui Bolivia, Colombia e Perù – e l’Indonesia. Entro la fine del secolo, infatti, secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), tra il 18% e il 36% della massa glaciale mondiale potrebbe scomparire.
La situazione in Venezuela è andata ad aggravarsi negli ultimi cinque anni in cui, come in gran parte dei paesi del mondo, i termometri hanno registrato valori sempre crescenti. Nemmeno quindici anni fa, fino al 2011, la Nazione aveva ben sei ghiacciai, oggi invece, non ne rimane neanche uno. A cosa è dovuta questa rapida trasformazione? Le temperature nell’area delle Ande, solo quest’anno, erano di 3-4 gradi superiori alla media. Ciò ha comportato un rapido scioglimento e, purtroppo, sono serviti a poco i tentativi delle istituzioni di ovviare allo scioglimento delle calotte ponendo sopra di esse una serie di coperte termiche. L’esecutivo del presidente Nicolás Maduro a dicembre aveva annunciato che avrebbe acquistato circa 83.000 piedi quadrati (circa 7.700 metri quadrati) di copertura geotermica per salvaguardare quel poco che rimaneva de “La Corona”, il ghiacciaio Humboldt.
I sei ghiacciai originariamente presenti a più di 5.000 metri di altitudine, nella catena montuosa della Sierra Nevada de Merida, ormai non esistono più. Pochi resti rimangono de “La Corona”, che ormai consiste in soli 0,02 chilometri quadrati. Secondo le previsioni degli scienziati, il ghiacciaio, che aveva 337 ettari di ghiaccio nel 1910 e solo 4 ettari nel 2022, avrebbe dovuto avere ancora un decennio di vita, ma lo scioglimento si è verificato molto più velocemente del previsto a causa della crisi climatica. Il Venezuela è diventato così l’unico Paese Sudamericano della catena andina senza ghiacciai.
La comunità scientifica è particolarmente allarmata al riguardo, considerando che la scomparsa del ghiaccio comporta, tra le altre cose, la perdita di interi ecosistemi e habitat unici. Gli esperti sottolineano, tuttavia, che si tratta di un processo lento che ha avuto origine oltre 40 anni fa, a partire dagli anni ’70, e che i tentativi del governo di utilizzare particolari coperture protettive sarebbero stati piuttosto controproducenti, in quanto il materiale scelto avrebbe rilasciato delle micro-plastiche dannose per l’ambiente.
Dal Sudamerica all’Europa centrale
Altrettanto devastante è l’impatto della crisi climatica in Slovenia. Anche qui l’allarme è stato lanciato diversi anni fa. I ghiacciai Triflav e Skuta, che fanno parte della catena montuosa delle Alpi sud-orientali e che si trovano rispettivamente a 2.500 e 2.020 metri di altitudine, ricoprono oggi poche centinaia di metri quadrati, dunque anche in questo caso sono quasi del tutto scomparsi.
Gli esperti prevedono che le masse di ghiaccio slovene spariranno completamente entro il 2030 e ciò comporterà una serie di conseguenze considerevoli sull’ambiente circostante: a causa dell’erosione del suolo, dovuta alle enormi quantità di acqua che scorreranno, il territorio circostante subirà profonde trasformazioni e i sentieri di montagna – che contribuiscono al giro d’affari del turismo del Paese – saranno sempre più difficili da percorrere. Oltre alle conseguenze sugli habitat e sugli ecosistemi circostanti, la perdita dei ghiacciai contribuisce anche all’innalzamento del livello del mare, il che costituisce un rischio per le comunità costiere locali. E non solo, c’è poi il pericolo di inondazioni costiere e danni agli ecosistemi marini.
Conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai e possibili strategie
Lo scioglimento delle masse di ghiaccio oltre i duemila metri, a livello globale, sta preoccupando ormai da anni gli esperti che cercano di sensibilizzare le istituzioni e la popolazione a fare la propria parte. Secondo un recente rapporto del Wwf, solo nel 2022 i ghiacciai hanno perso 3000 milioni di metri cubi di ghiaccio, più del 6% del volume residuo. L’Europa poi, è l’area più problematica rispetto ad altre parti del pianeta. Secondo i dati contenuti nell’ultimo rapporto del servizio di monitoraggio dell’Ue sul clima, Copernicus, dal 2020 il continente ha registrato ben tre anni con temperature da record e i valori si stanno alzando più velocemente della media globale. Sulle Alpi, in particolare, solo nel 2023 si è perso un decimo dei ghiacciai.
Altrettanto preoccupante è la situazione nell’area dell’Artico, che si sta scaldando a una velocità due volte superiore rispetto al resto della Terra. Ma perché il ghiaccio è così importante e ambientalisti e non solo sono particolarmente sensibili a questa tematica? Gli scienziati sottolineano che il ghiaccio marino svolge un ruolo cruciale nel mantenimento del clima terrestre grazie al suo elevato potere riflettente, noto come “effetto albedo”. Pertanto, quando il ghiaccio si riduce, diminuisce al contempo la quantità di radiazione solare riflessa nello spazio e di conseguenza aumenta quella assorbita dall’oceano, accelerando ulteriormente il riscaldamento globale.
Gli Stati artici e le organizzazioni internazionali stanno cercando di proporre politiche efficaci attraverso una serie di accordi multilaterali tra Nazioni – come l’Accordo di Parigi sulla riduzione dei gas serra – che fungano da stimolo per i Paesi membri affinché si impegnino attivamente e concretamente in riforme ambientali e nella condivisione di tecnologie avanzate.
Un’altra strategia messa in campo è quella della protezione degli ecosistemi e della promozione della ricerca. La creazione di nuove aree marine protette e la conseguente regolamentazione della pesca nell’Artico sono fondamentali per preservare la biodiversità di questi ecosistemi. Al contempo, gli investimenti nella ricerca scientifica sono fondamentali per andare a comprendere meglio l’andamento dei fenomeni relativi all’innalzamento delle temperature. E in questa direzione, fortunatamente, le risorse impiegate stanno aumentando di anno in anno.
Un ruolo cruciale lo rivestono alcuni Satelliti, come il CryoSat-2 dell’ESA e l’ICESat-2 della NASA. Entrambi sono dotati di tecnologie ultra avanzate e stanno rivoluzionando il monitoraggio del ghiaccio marino, fornendo, tra le altre cose, una serie di dati cruciali per le previsioni sul prossimo decennio. Sempre più intenso, infatti, è l’utilizzo da parte della comunità scientifica di satelliti dotati di radar e di supercomputer per la modellistica climatica che permettono il monitoraggio del comportamento del ghiaccio artico in tempo reale.
Ma quanto tutto ciò sarà efficace per evitare altri tristi record negativi? Difficile dirlo. Secondo un recente studio condotto dagli scienziati dell’Università del Colorado Boulder, negli Stati Uniti, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment, il primo giorno in cui la copertura del ghiaccio marino scenderà sotto la soglia di un chilometro quadrato si verificherà in media quattro anni prima rispetto alle medie previste, e potrebbe verificarsi fino a 18 anni prima.
Secondo lo studio, potrebbe accadere già nei prossimi due anni. Sebbene gli scienziati ritengano questo scenario piuttosto inevitabile, lo scenario ancora non è del tutto definito dal momento che i livelli di emissioni di gas serra futuri determineranno la frequenza con cui si verificheranno queste condizioni. Nell’ipotesi di emissioni più elevate, alla fine di questo secolo potrebbero esserci fino a nove mesi su dodici senza ghiaccio. Se invece ci atteniamo alla situazione attuale – nota come scenario intermedio delle emissioni – l’Artico dovrebbe rimanere libero dai ghiacci solo da agosto a ottobre.
Una notizia positiva e che lascia ben sperare, tuttavia, c’è: gli scienziati hanno spiegato che il ghiaccio marino dell’artico è molto resistente e una sua caratteristica è quella di potersi riformare rapidamente nel momento in cui l’atmosfera si raffredda. Dunque, a differenza della calotta glaciale della Groenlandia che ha impiegato migliaia e migliaia di anni a formarsi, se a livello globale si riuscisse a ridurre drasticamente la quantità di Co2 emessa, invertendo così il riscaldamento terrestre, il ghiaccio marino artico tornerebbe nel giro di un decennio.