Otto motivi e un’analogia per cui alcune etichette non valgono più: tutte le domande che ci circondano dal 7 ottobre scorso
È importante fare chiarezza su alcuni temi che altrimenti metterebbero in estrema crisi gli studenti di storia dei prossimi anni, e che mettono in crisi anche noi, testimoni diretti di questo pezzo di storia, orfani di una definizione per le nostre ideologie e intrappolati in un ossimoro.
Perché, a quanto pare, la storia è talmente surreale, a volte, che trasforma le vittime in carnefici – e viceversa – a distanza di pochi anni.
Quando ci studieranno, nelle loro classi tutte tecnologia e futurismo, e chissà cos’altro che la nostra immaginazione ancora non è in grado di creare, i giovani studenti (che probabilmente non avranno nemmeno idea di cosa sia la scrittura a mano) impazziranno chiedendosi perché gli “anti-israeliani” del 2024 non fossero al contempo fascisti, nonostante l’Olocausto sia stato perpetrato per mani naziste e fasciste.
Quando leggeranno le testimonianze di alcuni sopravvissuti e i pensieri di cordoglio di alcuni politici, autori, giornalisti, sulla più grande tragedia del ‘900, andranno a cercare il loro punto di vista sui crimini contro l’umanità commessi dallo Stato di Israele nei confronti del popolo palestinese. Ma non troveranno molto.
Il silenzio dei media
Per la maggior parte di quei politici, autori, giornalisti, e perfino alcuni sopravvissuti, infatti, non è altrettanto grave.
Ci si dovrebbe augurare che queste personalità siano affette da “creditismo”, la tendenza cioè a sentirsi in credito con il mondo per aver subìto un torto e/o essere stati vittima di una tragedia; il “creditismo” rende cinici e incapaci di provare empatia verso gli altri che soffrono. Ma, purtroppo, la causa alla base del loro silenzio è il più delle volte una questione di interesse alla conservazione di una qualche forma di vantaggio professionale e/o personale. Alcune di queste personalità hanno persino fatto degli interventi in trasmissioni e testate di prima linea spiegando perché quello che sta accadendo non è paragonabile a quanto successo durante l’Olocausto; hanno condiviso sulle proprie pagine social il loro sgomento e dolore per la notizia – all’epoca non verificata e oggi poi smentita – dei 40 bambini israeliani decapitati, e non hanno commentato uno dei tanti attacchi di Rafah, specie il Tent Massacre, dove un bambino senza testa e tra le fiamme viene sorretto e mostrato alla videocamera di un cellulare che diventerà gli occhi del mondo, in un tentativo estremo di ottenere l’ok al diritto al dolore da parte dei “media che contano”, che però non arriverà mai.
Nemmeno quel bambino decapitato, che si scoprirà qualche settimana dopo essere Ahmed Al-Najjar e avere 18 mesi, ha potuto far cambiare idea a politici e giornalisti: il loro coro resta immobile. Alcune di queste personalità, quando interrogate, hanno risposto che ciò che sta accadendo oggi a Gaza non si può paragonare a quanto sofferto dagli ebrei e che i palestinesi “se la sono cercata” con il loro terribile attacco del 7 ottobre 2023. Ma nessuno ha mai chiesto loro di paragonare una tragedia all’altra, bensì di accettare il fatto che quello che Israele sta compiendo altro non è che pulizia etnica, di usare la loro robusta voce, e di ammettere che l’attacco del 7 ottobre non può essere considerato il punto di inizio di un conflitto che esiste da oltre 70 anni.
Questi studenti del futuro, che oggi hanno l’età di Ahmed ma che hanno la fortuna di essere nati in un Paese colonizzatore e/o alleato del colonizzatore, risponderanno che sì, certo, questi pensatori in questione sono anti-fascisti quindi, per coerenza, non possono andare contro lo Stato ebraico, che era stato vittima del fascismo pochi anni prima (gli anni ‘20 del 2000 sembreranno a un battito di ciglia dagli anni ‘40 del ‘900, un po’ come per i nati negli anni ‘80 Leopardi e Pirandello potrebbero essere stati compagni di classe). Ma poi, ad alcuni di loro, forse non tutti, verrà in mente che fascismo è solo un sostantivo per definire una certa ideologia. E che chiunque, a prescindere dalla propria razza e/o religione, può condividerne i princìpi.
Quando la realtà supera la finzione
Le pagine dei libri di storia che tratteranno quest’ultimo anno saranno probabilmente non distanti da quelle sull’Olocausto. La confusione sarà inevitabile e forse aiuterebbe ricorrere a una analogia usando la Settima Arte, anche se, a quanto pare, spesso, la realtà supera la finzione.
Immaginiamo che, a distanza di venti anni, venissero scritti i sequel di alcuni film sull’Olocausto: i loro protagonisti, scampati ai campi di concentramento, oggi abitano in una terra chiamata Israele, dove vivono liberamente, dove possono commerciare liberamente, dove possono parlare la loro lingua, dove possono pregare liberamente, trasferirsi da qualunque parte del mondo se sono di religione ebraica senza paura che qualcuno li perseguiti. I film iniziano così.
Alla fine del primo tempo, però, si scopre che, sulla stessa terra, ci sono persone di altra nazionalità e altro credo religioso, soprattutto musulmani sunniti, ma anche cristiani, che non hanno più diritti, perché mentre Israele ha l’appoggio dei Paesi più potenti e ricchi del mondo – che sono i Paesi che lo hanno creato e che nel primo film avevano salvato gli ebrei da fascisti e nazisti –, gli abitanti di quella stessa terra, i palestinesi, non hanno l’appoggio di nessuno.
Le ingiustizie nei loro confronti accadono senza che le più importanti organizzazioni internazionali possano fermarle, e così, nonostante le multe, le sanzioni, le denunce, le proteste, gli sforzi degli attivisti, sempre più israeliani prendono sempre più terra, e con essa i suoi frutti, e con essa i diritti di chi quella terra la calpestava, ma in punta di piedi, quasi a non volerle far male. Al contrario, la sua conquista da parte dei “nuovi abitanti” è sempre più violenta: da una parte si cammina sulla punta dei piedi e su di essi ci si allunga verso i rami più alti degli alberi per raccogliere le olive, dall’altra si dà fuoco a quegli stessi ulivi. Da un lato si sfregano i pavimenti per preservarli dalla sabbia e dal caldo soffiati dal vento, dall’altra quei pavimenti si distruggono buttandoci addosso i soffitti e le pareti che gli stavano intorno. In questi sequel, alcuni dei protagonisti scampati alle morti più orribili diventano la causa del dolore degli abitanti che avevano trovato su quella terra.
Con una distanza temporale e sentimentale, lo spettatore che ha pianto per Władysław Szpilman del film Il Pianista, piangerebbe anche per chi interpreterebbe il ruolo di Ahmed Al-Najjar, perché i due personaggi hanno una cosa fondamentale in comune: sono vittime del proprio presente, della propria storia.
Otto motivi per cui criticare Israele non ci rende fascisti
Provare a fare chiarezza su questo tema aiuterebbe gli studenti, ma anche noi che siamo decisamente in preda a una crisi esistenziale: essere contro Israele ci rende fascisti?
Ecco otto motivi per cui la risposta è no.
- Il partito politico di Benjamin Netanyahu, attuale primo ministro israeliano, è il Likud, partito nazionalista liberale fondato nel 1973, appartenente alla destra. Tra i princìpi fondamentali del partito si legge: “Il diritto degli ebrei alla terra di Israele è eterno e indiscutibile ed è collegato al diritto alla sicurezza e alla pace; di conseguenza, la Giudea e la Samaria non saranno concesse a nessuna amministrazione straniera; tra il mare e il Giordano ci sarà solo sovranità israeliana (il mare e il fiume Giordano sono gli stessi protagonisti del canto from the River to the Sea, Palestine will be free, che fa da colonna sonora a ogni manifestazione pro-Palestina negli USA, e che è stato accusato di essere un canto di incitazione all’antisemitismo). Il Likud è stato considerato, specie negli ultimi anni, come un partito gestito alla ‘one man show’, basato su princìpi razzisti nei confronti degli arabi”.
- Il governo di Netanyahu include Bezalel Smotrich (ministro della Finanza), che si è autodefinito “fascista omofobo”.
- Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, era stato condannato nel 2007 per incitazione al razzismo e appoggio ad attività terroristica e ha avuto appesa alle pareti di casa una foto di Baruch Goldstein, che, come Ben-Gvir, viveva a Hebron nei territori occupati illegalmente e che nel 1994 ha ucciso 29 palestinesi a sangue freddo.
- Sia Netanyahu che Ben-Gvir sono stati accusati di aver avuto un ruolo nell’omicidio di Yitzhak Rabin, il primo ministro israeliano che ha firmato gli Accordi di Oslo.
- A differenza dei princìpi con cui il Likud era stato fondato, ora il partito si basa sul principio di sovranità ebraica.
- Il fascismo ebraico è strettamente collegato con il sionismo, ma se essere sionista non ha lo stesso significato per tutti, i movimenti ebrei nazionalisti estremisti si sono autodichiarati fascisti. Nel ventunesimo secolo, ad esempio, il partito Yehudit era stato definito un esempio di partito neo-fascista.
- Netanyahu sperava che l’esito elettorale francese di luglio fosse a favore della candidata Le Pen e del suo partito di estrema destra.
- Dal 7 ottobre in poi si sono verificati diversi episodi di antisemitismo da parte di ebrei verso gli ebrei pro-Palestina.
Sostanza contro etichette
Ebrei che accusano altri ebrei di non essere veri ebrei, solo perché hanno scoperto che Israele non è ciò che era stato loro descritto da bambini nelle scuole ebraiche, o perché non se la sentono di godere dei benefici di un paradiso se per altri, quel paradiso, è un vero e proprio inferno.
Stiamo vivendo un pezzo di storia basato su un “surrealismo realistico” in cui la sostanza di ciò che siamo, di come ci percepiamo, detiene il potere. Le definizioni, le etichette, in tutti i vari strati del nostro essere, dal genere sessuale alla politica, avevano una data di scadenza di cui non ci siamo accorti, ma che ora emanano un odore stantio, quel tipico odore sgradevole che ci impedisce di usare le cose a oltranza. E infatti, si può essere ebrei e antisemiti, si può essere ebrei e fascisti, e si può essere contro Israele, pro-Palestina, anti-fascista, allo stesso tempo.
D’altronde, se lo Stato di Israele è uno Stato a tutti gli effetti, non può non essere soggetto a critiche ed etichette ideologiche come conseguenza delle proprie azioni e inclinazioni governative.