Il poliedrico Kim Jong-Un, il ritratto

Compagno onorevole Kim Jong-Un. Maresciallo Kim Jong-Un. Ma anche “Rocket Man” e “Kim Terzo il grassoccio”. I molti nomi attribuiti al leader della Repubblica Popolare Democratica di Corea (DPKR), alcuni onorifici, altri di scherno, sono la manifestazione dello spessore del personaggio. Balzato agli onori delle cronache soprattutto in relazione alle schermaglie con l’ex presidente americano Donald J. Trump, Kim Jong-Un è tra le figure simbolo degli ultimi dieci anni. Prima che il Covid-19, le restrizioni e l’invasione russa dell’Ucraina gli rubassero la scena, il dittatore si era reso noto al mondo per il suo amore per le bombe nucleari, per la NBA e per le sue eccentricità e spietatezza. Ma Kim Jong-Un è molto più della macchietta che molti media occidentali dipingono: poliglotta (si dice sappia parlare correntemente inglese, francese e tedesco), abile politico, capace di muoversi con scaltrezza nel contesto internazionale, capo carismatico, ha compreso con intelligenza l’importanza di esercito e minaccia atomica come leva per la volontà di potenza del suo Paese. Nel suo percorso da leader supremo è passato dall’essere visto come una scheggia impazzita sullo scacchiere geopolitico a essere considerato un fine stratega, consapevole dei limiti e dei mezzi della Corea del Nord per essere rispettata dagli attori internazionali. Tuttavia, nel confine Nord della penisola coreana povertà estrema, analfabetismo, isolamento e arretratezza economica e sociale continuano a colpire la popolazione senza sosta.

Il poliedrico Kim Jong-Un, il ritratto

Una dinastia di “compagni”

Kim Jong-Un è il terzo di una consolidata dinastia di leader supremi. Suo nonno, Kim Il-Sung (a Oriente si suole scrivere prima il cognome del nome), è tuttora in carica come “Presidente eterno della Repubblica Popolare Democratica di Corea”. Poco importa sia morto più di 28 anni fa: a Pyongyang danno poco peso a dettagli come questo. Il padre, Kim Jong-Il, detto il “caro leader”, è stato l’iniziatore del travagliato rapporto della DPKR con l’energia nucleare. Attivo durante le presidenze americane di Bill Clinton, George Bush figlio e Barak Obama, effettuò i primi test atomici sotterranei come reazione alla massiccia presenza statunitense in Giappone e nella vicina Corea del Sud, al di sotto del confine sancito dal trentottesimo parallelo a partire dal 1953. Un anno dopo la morte, nel 2012, si pensò di nominarlo “Segretario generale eterno” del Partito dei Lavoratori di Corea, sulla scia di quanto fatto per Kim Il-Sung. Tuttavia, nel 2021, Kim Jong-Un ha deciso di riappropriarsi del titolo, rendendo suo padre l’unico membro della dinastia regnante sprovvisto di cariche.

Un leader solo e spietato

Non si può certo dire che il leader supremo della Corea del Nord sia poco attivo, sia sulla politica interna, sia su quella estera. Le esecuzioni di funzionari sgraditi, parenti, nemici interni o di semplici “inetti” sono frequenti: un piccolo errore e sei fuori. Dopo aver studiato sotto falsi nomi in Europa (nel suo periodo svizzero, durante gli anni Novanta, si faceva chiamare “Pak-Un”, mentre per i soggiorni di villeggiatura usava un più pratico passaporto falso brasiliano intestato a “Josef Pwag”), ha concluso il percorso di studi laureandosi in patria, nell’università che porta il nome di suo nonno. La prima vittima illustre della longa manus di Kim Jong-Un è il fratellastro Kim Jong-Nam. In origine era lui l’erede designato al potere, ma il giovane commise un errore imperdonabile: nel tentativo di visitare la sede nipponica di Disneyland, si fece scoprire con un passaporto falso e perse il posto.

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Poi, nel 2017, alcuni sicari del leader supremo lo freddarono in Malaysia. La scia di sangue di Kim Jong-Un avrebbe poi colpito lo zio materno, Jang Song-Thaek, reo di “alto tradimento”, un ministro, colpevole di essersi appisolato durante una riunione, e un viceministro, che aveva osato ubriacarsi durante i cento giorni di lutto dichiarati per la morte di Kim Jong-Il. Va precisato, tuttavia, che la cortina di ferro mediatica che circonda la Corea del Nord rende difficoltosa la verifica con più fonti di tutti questi episodi. Alcuni, come quello del ministro ucciso con una palla di cannone per “cancellarlo dalla faccia della terra”, sfidano il confine tra realtà, stravaganza e finzione.

L’amore per le immagini

Considerata però l’eccentricità del personaggio, nulla è da escludere, perfino le cose più bizzarre. Anche perché, come tutti i dittatori, Kim Jong-Un flirta spesso e volentieri con i media e il mezzo televisivo. L’emittente nazionale nordcoreana non perde occasione di inquadrarlo in ogni sua azione, dalla visita alle caserme militari a quelle nelle fabbriche di armamenti, fino alle gite nei siti agricoli e manifatturieri e alle faraoniche parate militari (la DPKR è terza al mondo per numero di coscritti). L’effetto, voluto o meno, è il proliferare di meme di tutti i tipi: lui che si leva gli occhiali da sole con un missile di proporzioni improbabili sullo sfondo, lui che si frega le mani davanti a una massa rotante informe che ricorda il ripieno dei Chicken McNuggets, lui e il suo stravagante taglio di capelli a fungo (atomico?), lui che ride di gusto con i suoi generali, lui che guarda l’orizzonte impugnando un cannocchiale al contrario. Ce n’è per tutti.

Atomica, che passione

Lo spasmodico interesse per l’energia atomica di Kim Jong-Un (e di suo padre prima di lui) si può spiegare con una sola parola: deterrenza. Consapevole dell’isolamento cui volente o nolente ha costretto il suo Paese, il leader nordcoreano ha puntato forte sull’unica arma che, senza essere usata, terrorizza ogni nemico. La minaccia continua del presidente russo Vladimir Putin di impiegarla, per rendere l’idea, fa esitare l’opinione pubblica italiana nel suo sostegno all’Ucraina invasa e rende più prudente del dovuto la Nato. Lo sviluppo dell’energia atomica, necessario per costruire la bomba, inizia con Kim Jong-Il, ma è con suo figlio che si compie il salto di qualità. Test di missili balistici intercontinentali (ICBM) a raffica, detonazioni sotterranee sempre più forti, minacce crescenti di armarsi: Kim Jong-Un vuole l’atomica e presto o tardi la otterrà.

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Nel 2016, nel suo discorso per l’inaugurazione del settimo congresso del Partito dei lavoratori nordcoreano, il dittatore ha ribadito che missili e nucleare sono “la prova di forza della Corea del Nord”. Poi, in seguito alla politica di avvicinamento alla Corea del Sud e agli Stati Uniti (2018-2019) e alla pandemia che ha colpito con forza il suo Paese, una piccola pausa. Fino a settembre 2022, quando il leader ha annunciato la fine della denuclearizzazione e la ripresa dei test balistici approvando una legge che permetterebbe al governo nordcoreano di attuare un attacco nucleare “automaticamente” in caso di qualsiasi minaccia esterna. E, a ottobre, sul territorio giapponese le sirene sono tornate a suonare: un missile ICBM ha sorvolato l’isola, inabissandosi poco più in là nel Pacifico.

Il rapporto con Donald Trump

Alcuni opinionisti americani l’hanno definita “la gara a chi ha il bottone rosso più grosso”. Merito di una battuta del quarantacinquesimo presidente degli ‘States’, che il 2 gennaio 2018 aveva twittato che il suo pulsante nucleare era “più grosso” rispetto a quello del suo avversario asiatico. Si era nel pieno di un duello dialettico senza esclusione di colpi, dove i due sfruttavano l’uno la fama dell’altro per costruire consenso intorno alla propria figura. Ma anche di uno scontro geopolitico, dove “The Donald” cercava di riaffermare l’egemonia statunitense nel Sud-Est asiatico e Kim Jong-Un di imporre la Corea del Nord come potenza regionale alternativa a Cina, Giappone e Corea del Sud. Poi, nella schermaglia, entrano altri epiteti (“Rocket man”, “Orange guy”, “idiota americano senza cervello”, “Cane Spaventato”…) e reciproche minacce di distruzione totale. Infine, l’inversione di tendenza: prima lo storico meeting distensivo di Singapore del 2018, dove era presente anche il presidente sudcoreano Moon Jae-In, poi, nel 2019, la stretta di mano tra i due nella fascia demilitarizzata che divide le due Coree. Dopo le liti, messaggi di stima e rispetto. Fino alla rovinosa sconfitta patita da Trump alle elezioni americane del 2020 e all’uscita di scena di un dualismo che ha animato due lunghi anni della politica internazionale.

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