La pesca illegale devasta la Sierra Leone

Pescatori senza licenza e tecniche non consentite dalla legge, l’attività ittica del Paese sta collassando e rischia di compromettere definitivamente l’economia

La Sierra Leone, uno dei tesori verdi dell’Africa Occidentale, è una nazione che, per secoli, ha fatto della pesca un caposaldo della propria economia, sfruttando le enormi risorse dell’Oceano Atlantico su cui affaccia. Un’attività che, negli ultimi anni, ha subìto importanti cambiamenti che sono andati a gravare sia sull’economia locale sia sull’ambiente. Tra tutti, l’esaurimento delle riserve ittiche.

L'attività ittica del Paese fa crollare l'economia
La pesca illegale in Sierra Leone – ilMillimetro.it

Dopo le ultime indagini del 2008-2011, da cui era emerso che le attività di pesca locali erano per lo più illegali, non sono state condotte ulteriori analisi. Tuttavia, da diverse fonti locali, tra cui il Ministero della pesca e delle risorse marine del Paese, si evince che la quantità di pesce sta continuando a calare drasticamente, anno dopo anno.

L’illegalità della pesca artigianale

Tra le cause di questa crisi c’è il settore industriale. Secondo un recente rapporto della Financial Transparency Coalition (un’organizzazione statunitense), circa 40 imbarcazioni industriali dal 2010 al 2022, sono state coinvolte in pratiche di pesca illegale non dichiarate e non regolamentate in Sierra Leone. Ma non è solo la pesca industriale a impoverire le risorse ittiche. Quella artigianale, che rappresenta il 66% della produzione ittica annuale della nazione e che si concentra sui canali, sta danneggiando e depauperando la fauna.

Non ci sono soluzioni alternative, il popolo non rispetta le regole
Sono enormi anche i danni alla fauna del Paese – ilMillimetro.it

Per una serie di circostanze, connesse principalmente alle difficoltà economiche delle comunità, queste ultime hanno iniziato a fare ricorso a tecniche di pesca distruttive, sia negli estuari sia nei torrenti costieri, aree particolarmente critiche per la riproduzione e la crescita dei pesci. Il problema principale consiste nel fatto che, ormai da tempo, vengono utilizzate delle reti a maglie troppo piccole che, nelle acque basse, catturano non solo esemplari adulti ma anche le uova. Il risultato è che vengono distrutti interi cicli riproduttivi. 

Si stima che fino al 70% dei pescatori artigianali sia attualmente coinvolto in pratiche dannose: il 20% pratica la pesca a strascico sulla spiaggia e il 50% quella nei canali. Nel 2021 la marina della Sierra Leone e l’ONG Sea Shepherd Global hanno messo insieme le loro forze per assicurare alla giustizia i responsabili di questo che hanno denominato “un furto di risorse ai danni di uno dei Paesi più poveri al mondo”.

Un’operazione che diede i suoi frutti e che portò al fermo di cinque pescherecci di proprietà straniera, che pescavano illegalmente senza alcuna licenza. Secondo alcuni reporters locali, i pescatori della città di Pepel, sul fiume Sierra Leone, sarebbero arrivati a utilizzare perfino la dinamite, lanciando degli esplosivi in acqua che hanno totalmente devastato la vita della flora e della fauna nei pressi.

Ma qual è il motivo del ricorso a queste modalità? Acquistare le reti da pesca necessarie, e quindi legali, è costoso, troppo per le comunità locali della Sierra Leone, che, da anni, si trovano ad affrontare una pesante crisi economica.

La scomparsa di 16 specie di pesci

C’è poi un altro fattore: la concorrenza aumenta, mentre le scorte diminuiscono, pertanto i locali cercano in tutti i modi, anche i più disastrosi, di catturare almeno qualche pesce, utilizzando quelle reti illegali che sono molto semplici da trovare e a basso costo. Inoltre, c’è una totale mancanza di regolamentazione: chiunque può prendere un tronco, costruire una canoa e andare a pescare senza alcun tipo di precauzione e di rispetto per il territorio.

Diverse associazioni lavorano per salvare la situazione
Sono diverse le specie di pesci che stanno sparendo – ilMillimetro.it

Il risultato di questo scenario è che negli ultimi anni si è registrata la scomparsa di oltre 16 specie di pesci tra cui i bonga, i pesci d’argento, i pesci burro, i dentici e i barracuda. “Se si attenessero rigorosamente alle norme sulle dimensioni delle maglie, andrebbero in mare e non troverebbero molto nelle loro reti”, ha spiegato Salieu Sankoh, un biologo marino affiliato al Fourah Bay College di Freetown ed ex direttore del West Africa Regional Fisheries Program in Sierra Leone, un’iniziativa finanziata dalla Banca Mondiale per migliorare la gestione della pesca nella regione.

Eppure, esiste un’apposita legge che proibisce l’uso, sulle imbarcazioni, di determinati attrezzi da pesca, tra cui reti da pesca con maglie inferiori a 45 millimetri. Leggi che tuttavia non vengono applicate. Il governo, da parte sua, pensando che il problema della scarsità di pesce sia dovuto principalmente al settore industriale, è arrivato a imporgli, quest’anno, una stagione di chiusura. Dopo aver tentato di farlo anche sulla pesca artigianale è tornato sui suoi passi a causa delle ingestibili pressioni politiche.

L’export internazionale

Ma perché i pescatori della Sierra Leone ritengono così indispensabile utilizzare questi strumenti illegali per accaparrarsi varietà di pesce così piccole? Questo tipo di specie, troppo piccolo per essere venduto nei mercati locali, viene venduto come mangime per animali in Guinea. Spesso sono le donne a far essiccare i piccoli pesci sulle spiagge o sui bordi delle strade, spellandoli e separandone la testa dalla coda. Una volta essiccato, il prodotto viene trasportato in Guinea, dove la richiesta è molto alta poiché viene utilizzato come alimento per bestiame.

Il problema tra le due categoria accende le polemiche nella Sierra Leone
È guerra aperta tra i pescatori artigianali e quelli illegali – ilMillimetro.it

Un chilo di corpi essiccati viene venduto a 30.000 franchi guineani (3,50 dollari). Oltre 12.000 kg di prodotto essiccato lasciano la frontiera ogni anno, dove incontrano gli agenti che si fanno dare tra i 40 e i 50 dollari per far passare il carico. Ma la Sierra Leone non si arricchisce solo grazie al commercio con altri Paesi africani. Dallo Stato sull’Atlantico, ormai da tempo, vengono esportate ingenti quantità di pesce anche verso i mercati asiatici dove è molto desiderata la corvina, una varietà dal sapore molto delicato che si trova in abbondanza negli estuari e nelle acque costiere poco profonde.

Sia il mercato nazionale sia quello internazionale sono in continua crescita, il che scatena ulteriormente una competizione già molto accesa non solo tra i pescatori artigianali, ma anche tra le aziende che sempre più spesso finiscono per fare ricorso a pratiche illegali dal pesante impatto per l’ambiente.

L’immobilismo delle istituzioni

Una serie di vincoli socioeconomici e la mancanza di volontà politica hanno contribuito a rendere la crisi del settore della pesca sempre più profonda, con il 70% dei pescatori che ormai è coinvolto in pratiche illegali. Oltre 800.000 sierraleonesi, ossia il 10% della popolazione, sono impiegati direttamente o indirettamente nella pesca. Cifre importanti che hanno un sostanziale impatto anche in ambito di elezioni.

La politica sta distruggendo l'attività ittica della Sierra Leone
Julius Maada Bio, il Presidente della Sierra Leone (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Secondo alcuni analisti che si sono interrogati sulle possibili soluzioni alle condizioni critiche del settore, sarebbero sufficienti dai 2 ai 3 milioni di euro per andare a sostituire sistematicamente tutte quelle reti illegali vendute e utilizzate lungo tutta la costa. Indispensabile, poi, sarebbe anche una maggiore regolamentazione per garantire la sostenibilità della pesca artigianale. Ma anche su questo aspetto lo scetticismo è tanto, considerando l’immobilismo e le forti pressioni della classe politica. Già nel 2018, il Presidente Julius Maada Bio fece una stima del danno che la pesca irregolare provoca in Sierra Leone: 50 milioni di dollari. Una cifra che, negli ultimi sei anni, è presumibilmente aumentata.

Come se non bastasse, ad aggravare il quadro c’è la presenza della Cina, a cui la Sierra Leone, ormai da tre anni, ha ceduto una serie di coste e foreste vergini per la costruzione di un porto industriale. Una serie di vuoti normativi, l’immobilismo politico, una corruzione radicata e un pericoloso disinteresse verso la salute dell’ambiente stanno andando a rovinare una delle nazioni dal più ricco patrimonio naturalistico dell’Africa occidentale.

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