“C’è stato forse il periodo più bello e folle della mia vita, i giorni dorati della gioventù: sono finita su tavoli da poker e strip club”
Sono nata in un allevamento intensivo in via Tuscolana 417, a Roma. Lo chiamano la Zecca di Stato. Già appena nata ero arancione e piena di tatuaggi, che sono la caratteristica della mia specie, ovunque nel mondo. Ho addosso un vistoso numero 50, ma anche la mappa dell’Europa e un paio di finestre con balaustra che non si è mai capito che cosa siano.
Con le altre banconote da 50 euro ce lo siamo chieste parecchie volte. E sia io sia tutte quelle della mia generazione, sull’avambraccio, abbiamo la firma olografa di Mario Draghi. La grande maggioranza di noi avrebbe preferito un tribale, ma è andata così.
Poco dopo stampate eravamo pronte per affrontare il mondo. All’uscita dalla Zecca, la mia istitutrice mi ha detto incoraggiante, facendo il pugnetto, «ricordati che tu vali». Poi ha precisato: «50 euro». Alle banconote da 5 euro l’istitutrice diceva: «Ricordati che tu vali. Un supplì». Io da subito finisco in un bancomat.
A differenza delle altre banconote lì dentro, ero nuovissima, pulitissima, vergine, pura. Ma poi un giorno è finita l’infanzia: sono stata prelevata. Da un losco imprenditore cinquantenne di Perugia brutto brutto, con le mani pelose. Cocainomane. E mi sono sentita usata da lui, molestata. Ho conosciuto la droga molto presto.
Il periodo più bello della mia vita
L’imprenditore mi consegnò a un operaio. La paga per due giorni di lavoro, ovviamente in nero. L’operaio non la prese bene, mi afferrò, mi sventolò per aria e disse: «Io con queste mi ci pulisco il culo!». Mentre svolazzavo, mi sono figurata la scena e ci sono stata malissimo. Dopo qualche giro mi ritrovo in un distributore di benzina vicino Taranto. Poco frequentato, quindi non ci svuotavano mai. Tanta noia, l’unico divertimento era una banconota falsa da 10 euro molto simpatica, soprattutto quando ci raccontava l’aneddoto di quella volta che aveva passato indenne la prova della macchinetta a un tabaccaio. Ridevamo tutte, anche le banconote da 100, che non ridono mai.
Uscita dal distributore in Puglia, c’è stato forse il periodo più bello e folle della mia vita, i giorni dorati della gioventù: sono finita su tavoli da poker, strip club, addirittura ho fatto parte di una tangente di bassa lega… quella volta della tangente è stato uno spasso, perché tutte noi banconote sapevamo di essere riprese dalle telecamere nascoste e ci scambiavamo il cinque divertite. Noi del gruppo tangente siamo state sequestrate dalla finanza. Nel reparto sequestri non si stava male. C’era di tutto… animali proibiti che facevano casino, banconote di tutto il mondo – alcune esotiche e bellissime – e girava ovviamente parecchia droga. Poi, finalmente, sono tornata nella società. E mi sono ripulita, sono cambiata dentro. È successo che mi sono ritrovata nel portafoglio di un professore universitario, una persona perbene. E grazie a Dio un po’ tirchio, quindi non mi spendeva mai. Dentro a quel portafoglio ho conosciuto il vero amore: ho avuto una storia breve ma intensa con una carta di credito della Deutsche Bank. Un po’ rigida, legnosa, ma molto, molto erotica. Una sera il portafoglio del professore è rimasto sul tavolo del salotto. La TV era accesa. E tutti noi, abitanti del portafoglio del professore, abbiamo visto un documentario: nel quale si mostravano tanti ristoranti del Nord Europa con la scritta “no cash”. Cioè, dei ristoranti che non accettano contanti. Una banconota da 20 euro, guardando lo schermo, ha urlato nervosa: «’Sti pezzi demmerda! Ma come no cash? Noi contanti siamo la gioia dei ristoratori, appena ci vedono sul tavolo i camerieri sorridono e offrono amari! Ma perché no cash, che vi abbiamo fatto?». Anche tutte le altre banconote del portafoglio hanno cominciato a inveire contro la TV.
La carta della Deutsche Bank lo trovava invece molto civile e diceva a noi banconote, con tono di superiorità, che il destino dei contanti è ormai segnato e che dobbiamo farcene una ragione. Ne è partita una gigantesca lite, con urla e insulti da parte delle banconote nei confronti della carta di credito tedesca: «Noi non siamo solo soldi, siamo tatto, siamo odore, siamo compagnia, siamo la sensazione di tasche piene dopo un momento di difficoltà. È una sensazione che solo i contanti ti danno, Deutsche!», disse accorata una banconota da 100 alla carta di credito tedesca. Io non ho partecipato alla bagarre perché combattuta se stare dalla parte dell’amore della mia vita o difendere la mia specie. Ma quella discussione mi avrebbe segnata per sempre. Poi il professore un giorno mi spese. Per un vaso. Al negoziante non funzionava il POS. L’addio alla carta della Deutsche Bank è stato struggente. Quando abbiamo capito che stava per succedere, abbiamo pianto… la musica di Morricone… gli ultimi momenti al “rallenty”. «Ciao, amore mio!».
“Addio amore mio”
Uscita dal portafoglio del professore sono stata usata per i motivi più disparati, e alla fine per l’acquisto di una pasticca di ecstasy da parte di un ventenne cerebroleso. E così sono ricaduta nel giro della droga. Il pusher che aveva venduto la pasticca mi ha arrotolata la sera stessa e ha usato il mio corpo per pippare per varie settimane. È stato il momento più brutto della mia vita. Ma anche quello della consapevolezza. Ho ripensato a quel documentario e alle parole del mio amore, la carta tedesca. E forse aveva ragione. Perché probabilmente l’estinzione della mia specie avrebbe enormi vantaggi, in una società senza di noi la mafia avrebbe vita difficile, il lavoro in nero potrebbe quasi sparire del tutto, le tangenti sarebbero estremamente più complicate, l’evasione fiscale, grande ingiustizia di questo Paese, sarebbe azzerata.
Ogni affare losco potrebbe essere tracciato. So che, se tutto fosse tracciato, il rischio di una società inquietante sarebbe dietro l’angolo. Ma bisogna rischiare, sennò le cose non le cambi mai. Allora ho deciso di compiere un gesto estremo come quello di certi martiri che in nome di un futuro migliore sacrificano la propria vita. E così una mattina mi trovo vicino ai fornelli, il pusher si sta facendo la moka. È distratto. Io, arrotolata e pronta all’uso, invece, mi rotolo verso il fuoco. E prendo fuoco, urlando: «Viva i ristoranti no cash! Addio amore mio, ricordati di me!».