Sparatorie, arresti e violenza nel pieno centro delle città messicane. Scene che non sono nuove e che riflettono l’annosa piaga della lotta fra gruppi armati appartenenti a capi rivali di potenti cartelli del narcotraffico. L’ultimo episodio è avvenuto la settimana scorsa, nello stato occidentale di Michoacan, nel comune di Tuzantla. Otto persone sono morte in una sparatoria tra due capi del cartello conosciuto come “La Famiglia Michoacana”. Il sottosegretario alla sicurezza e protezione dei cittadini, Ricardo Meija, ha definito l’accaduto come la conseguenza di un’altra sparatoria avvenuta alcune settimane prima, quando è stato ucciso il boss Medardo Hernandez Vera. Da quel momento è aumentata la tensione tra le due fazioni della Familia Michoacana. Altre giornate di violenza hanno animato il paese a metà agosto. A Ciudad Juarez due gruppi rivali di detenuti – Mexicles e Chapos – si sono scontrati all’interno di un centro di reinserimento, dove sono morte tre persone. Poco dopo un commando armato è entrato in azione nel parcheggio di una pizzeria e ha assaltato una postazione dell’emittente messicana Mega Radio, uccidendo quattro persone. I delinquenti sono poi entrati nel ristorante e hanno sparato contro le persone sedute ai tavoli, ferendone due, mentre in altre zone della città alcuni sicari sparavano contro negozi e civili, provocando due vittime e decine di feriti.
Il giorno successivo, 13 agosto, anche nelle città al confine con gli Stati Uniti è dilagata la violenza: strade bloccate, sparatorie e veicoli in fiamme a Tijuana, Mexicali, Rosarito ed Ensenada, tanto che il consolato statunitense a Tijuana ha ordinato ai suoi dipendenti di ripararsi fino a nuovo avviso. Le gang di narcotrafficanti prendono di mira negozi, veicoli e passanti innocenti come risposta ad attacchi più o meno concreti e ai tentativi di cattura degli affiliati. Le cause scatenanti sono ben note anche alle autorità che, puntualmente, invitano i responsabili a porre fine alla violenza. “Diciamo ai gruppi della criminalità organizzata che Tijuana rimarrà aperta e si prenderà cura dei suoi cittadini”, ha detto il sindaco Montserrat Cabellero, “e gli chiediamo anche di saldare i loro debiti con coloro che non hanno pagato il dovuto, non con le famiglie e i cittadini che lavorano duramente”. Purtroppo i tentativi dello stato di preservare la sicurezza dei cittadini continuano a essere vani. Recentemente nello stato di Michoacan, dove c’è stata l’ultima sparatoria, ci sono state diverse operazioni di sicurezza, la più grande delle quali ha portato all’arresto in flagranza di reato di 168 persone, legate alla banda criminale Pueblos Unidos, che intendevano lanciare un attacco contro la Familia Michoacana. E se solo la cifra delle persone arrestate è così alta, è impressionante pensare a quanto ammonti la cifra delle persone che fanno effettivamente parte di questi gruppi, così radicati e potenti.
Una guerra irrefrenabile e non dichiarata
Eppure questi sono solo alcuni dei più recenti scontri avvenuti ad agosto. Tanti altri hanno scosso il paese negli ultimi mesi, anni. Secondo un rapporto del gabinetto di sicurezza messicano, sono ben 16 le organizzazioni criminali che competono per il controllo del territorio e del narcotraffico. In alcune aree la popolazione è spesso costretta alla fuga e in tante zone, senza alternativa, vive sotto il controllo delle bande criminali che dettano legge sostituendosi in toto allo Stato, che non è in grado di garantire la sicurezza. Quello con cui i messicani convivono è un conflitto strisciante, che da tempo oppone i criminali alle istituzioni, non solo all’esercito messicano ma anche al personale statunitense che ha un certo potere soprattutto negli Stati più vicini al confine con il Nord America. Sempre quest’anno è stato arrestato un boss locale, Juan Gerardo Trevino, detto “El Huevo”, leader del Cartello del Nordest, sul quale pendeva un ordine di estradizione negli Stati Uniti. I narcos hanno subito risposto minacciando la sicurezza cittadina, ma il loro obiettivo era anche il consolato americano, ritenuto co-responsabile dell’arresto del Huevo. Anche in quel caso i cittadini si sono trovati costretti a fuggire e a ripararsi da colpi di pistola e auto in fiamme.
Poco convincente l’entusiasmo del governo che ha definito quella cattura «uno degli arresti più importanti dell’ultimo decennio», parole del segretario messicano agli Affari Esteri, Marcelo Ebrard. Probabilmente di fronte a questi episodi il popolo messicano non rimane neanche più impressionato, dal momento che neppure la pandemia ha arrestato i cartelli messicani. Alla fine del 2021 è stato consegnato un rapporto ai congressisti americani dal quale è emerso che «nonostante le prime interruzioni della catena di rifornimento le forniture di droga illecita verso gli Stati Uniti sembrano essere tornate ai livelli pre-pandemici; i flussi illeciti di fentanyl in particolare sembrano prosperare». Proprio nel 2021 in Messico sono stati 33.308 gli omicidi, dati comparabili a quelli di conflitti bellici veri e propri e che inevitabilmente rendono il livello di sicurezza del Paese molto basso. La violenza e le morti non sono tuttavia legate solo agli scontri tra le bande criminali. Ci sono anche altre cause che scatenano violenza, come la questione dei migranti, i rapimenti e le estorsioni. Il fatto è che l’iperviolenza è alimentata dalla disponibilità delle armi da fuoco, utilizzate dai criminali nella gran parte degli omicidi, che arrivano proprio dagli Stati Uniti.
Tecnologia e narcos
E seppur si tratti di un conflitto che va avanti da decenni, la guerra dei narcos dimostra anche di evolversi, al passo con lo sviluppo tecnologico. Proprio all’inizio di quest’anno sulle pagine dei social dei messicani è girato un video diventato in breve virale, in cui dall’alto un drone riprende prima la fuga di alcune persone, poi un’esplosione e le fiamme che bruciano la foresta. Si tratta di un attacco che è stato attribuito al cartello della droga Jalisco Nuova Generazione (Cjng), uno dei cartelli più pericolosi e potenti del Messico fondato nel 2009, che colpisce lo Stato del Michoacan, in particolare le baraccopoli del Comune messicano di Tepalcatepec, di cui voleva prendere il controllo. Il Micohacan si trova nella parte centrale del paese e nonostante abbia meno di cinque milioni di abitanti (in tutto, il paese ne conta 143 milioni) ha attualmente uno dei tassi di omicidi più alti della Nazione: una media di 7 persone al giorno giustiziate solo nei primi 10 mesi del 2021 e proprio a causa del conflitto tra narcos che si contendono il territorio sono migliaia i cittadini sfollati, costretti a scappare per sopravvivere. Nel caso di quest’attacco, le immagini sono circolate (solitamente non accade) perché dal drone caduto a terra è stato possibile recuperare la scheda di memoria. Tuttavia, i cartelli usano i droni da anni: nel 2014 i primi impieghi per la consegna della droga. “I droni di più bassa qualità portano circa un chilo di materiale e possono percorrere fino a 15 chilometri.
Una distanza più che sufficiente per attraversare la frontiera». Parola di Aldo Flores, fondatore e direttore della società Investigación, Proyectos de Aeronáutica y Tecnología (Iprotec) di Città del Messico e noto esperto di sicurezza. Gli apparecchi avrebbero introdotto in territorio statunitense due tonnellate di stupefacenti, ovvero, circa 1,3 kg per ogni carico. Nel 2018 il primo utilizzo come vera e propria arma. Ed è soprattutto a Città del Messico, nel Nuevo León, a Guadalajara e nel Queretaro – tutte zone ad alta densità industriale – che è concentrata la produzione di droni corriere. Sembra, dunque, che ogni gruppo abbia sempre nuovi obiettivi, nuove modalità di espressione, di combattimento e soprattutto interminabili risorse. La speranza che il conflitto arretri e che i morti diminuiscano sembra non animare più il popolo, ormai abituato e rassegnato alla violenza.