Anche se di solito i propositi si fanno a gennaio, dovreste impegnarvi a guardare 2022: i sopravvissuti prima del 31 dicembre per chiudere l’anno in bellezza (disponibile su Amazon Prime, YouTube, Apple TV e Google Play Film). Un po’ come quando vi accingevate a guardare 1997: Fuga da New York prima della fine del secolo. In entrambi i casi, il titolo originale non contiene la data, che è stata invece esplicitata nella versione italiana per mettere l’accento sul futuro. Con il risultato che oggi il lungometraggio con Kurt Russell suona antiquato e il film di Richard Fleischer invece sta per “scadere”, anche se i temi trattati sono evergreen di un’attualità sconcertante.
Film di rottura
Il film nasce nell’ambito di una nuova ondata del cinema americano, la Hollywood degli anni ’70 che reagisce rompendo le righe della sua abituale produzione: dopo gli anni ’60 della contestazione non solo politica ma sociale, si cercano nuove strade. Nel 1973 questo è il film della MGM che incasserà più di tutti gli altri quelli prodotti nello stesso anno dalla major. «È un film che si si colloca in un contesto profondamente ambientalista – ci spiega il critico cinematografico Enzo Lavagnini – basti pensare che nel 1962 esce Primavera silenziosa di Rachel Carson, ovvero la denuncia dell’uso dei pesticidi in agricoltura; nel 1968 apre i battenti il Club di Roma di Aurelio Peccei che avrà un compito importantissimo sui limiti dello sviluppo; nel 1972 si apre la prima conferenza internazionale di Stoccolma sull’ambiente; e nel 1973 c’è la crisi petrolifera mondiale, dell’Opac che riduce le dotazioni ai paesi occidentali». Sono tutti temi che sembrano strappati alla realtà di oggi, ma che invece erano già delineati all’epoca. «Singolare che la conferenza di Stoccolma convocata dall’ONU veda 112 paesi partecipanti e che nella dichiarazione dei princìpi consideri la tutela dell’ambiente in quanto luogo in cui il genere umano vive, per cui c’è una visione antropocentrica inequivocabile. Che poi, a guardar bene, Soylent Green è un po’ una sorta di antesignano di Dersu Uzala-Il piccolo uomo delle grandi pianure di Akira Kurosawa anche per la collocazione di questo film in chiave ambientalista».
Il sovrappopolamento
Harry Harrison, l’autore del libro Make Room! Make Room! (Largo! Largo!) pubblicato nel 1966 (la trama si svolge 33 anni dopo, ovvero nel 1999) a cui si ispira il film, parte soprattutto dal concetto di sovrappopolamento: «L’idea mi venne parlando con un indiano incontrato dopo la guerra, nel 1946 – dichiarò nel 2006 a Locus Magazine – Mi disse che “il sovrappopolamento è il prossimo grande problema del mondo (nessuno ne aveva ancora sentito parlare all’epoca) e mi disse “vuoi fare tanti soldi, Harry? Dovresti iniziare ad importare preservativi di lattice in India”. Mi sarebbe piaciuto fare due soldi, ma non volevo nemmeno diventare il re indiano del lattice!» Pur essendo (completamente) d’accordo a metà con gli sceneggiatori, si può tranquillamente affermare che il coraggio del film sia dovuto anche all’indipendenza di spirito di Harrison, personaggio singolare, vissuto in USA, Messico, Danimarca, Italia e morto a Brighton (Inghilterra), e convinto sostenitore dell’esperanto, illustratore (negli anni ’60 fu lo scrittore principale della serie di Flash Gordon), noto per la satira, e soprattutto la sua capacità di intravedere delle finestre sociali che rimangono solitamente chiuse ai più.
Cingolani lo sa…
Il sovrappopolamento è un tema attuale, anche per il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, scienziato che già nel 2013 al Ted a Lecce in conferenza diceva che «il pianeta non è progettato per avere così tanti esseri viventi sulla sua superficie, l’uomo nel senso animale è una specie di parassita poiché consuma risorse senza produrne, e il nostro ecosistema, dunque, non è progettato per nove miliardi di parassiti, è progettato più o meno per averne tre» (viene spontaneo chiedersi chi abbia progettato questo numero, cosa ne sarà degli altri sei miliardi, e chi effettivamente abbia sentenziato come debbano morire e quando, ma questi sono altri discorsi). Nel film ci troviamo nella New York del 2022 e in sovrimpressione compare subito la scritta “New York City, 40 milioni di abitanti” (oggi in realtà la Grande Mela ne conta 9 milioni, 18 allargando la cerchia all’intera area metropolitana circostante).
Nel quattordicesimo distretto, la gente più fortunata vive in loculi, mentre la gran parte dorme ammassata sulle scale o per strada, senza ritegno e spesso tossendo incessantemente: milioni di malati cronici che sopravvivono ben al di sotto della soglia della povertà. I cadaveri vengono prelevati direttamente dai camion della spazzatura (senza una cerimonia), mentre i contestatori vengono spalati via dalle ruspe come scarafaggi. Le campagne sono off-limits (per caso avete sentito parlare di contadini in rivolta ultimamente?), l’acqua è razionata, qualcuno indossa le mascherine e l’unico cibo ampiamente disponibile è questo soylent (soia e lenticchia) che viene dispensato sotto forma di barrette quadrate, la metafora delle tessere omologate di un puzzle molto più intricato.
Coprifuoco e aria condizionata
“Street prohibited to non-permits in one hour”, tra un’ora senza permesso speciale non si esce. La frase d’apertura amplificata dal megafono delle autorità rievoca subito il coprifuoco di covidiana memoria e per uscire la sera oltre un certo orario serve un curfew pass, un permesso speciale. I ricchi che abitano nelle torri lussureggianti di Chelsea Towers West ne hanno a bizzeffe e anzi approfittano del calar delle tenebre per fare shopping: frutta e verdura di qualità, ma soprattutto un inedito manzo. Il detective Thorn (Charlton Heston), che si occupa dell’omicidio di William Simonson, ne fa razzia quando va a caccia di prove nel ricco appartamento del facoltoso membro del CdA della Soylent.
Una volta tornato a casa, condivide tutto con il suo aiutante, Sol Roth (Edward G. Robinson), che dispensa autentiche perle di saggezza nel corso del film: «quando ero piccolo, il cibo era cibo…prima che i nostri maghi scienziati avvelenassero l’acqua e inquinassero il terreno, decimando flora e fauna del pianeta…ai miei tempi potevi comprare carne dappertutto, uova, burro vero, lattuga fresca. Come può sopravvivere qualsiasi cosa con questo clima? Con un’ondata di caldo che dura tutto l’anno? Un effetto serra…brucia tutto». L’attenta fotografia di Richard Kline in effetti mostra spesso il volto dei protagonisti perlato di sudore e il detective Thorn è più tentato di rimanere a dormire nell’appartamento ormai privo di Simonson per via dell’aria condizionata (“volete la pace o i condizionatori accesi?” Cit.) piuttosto che per la bella presenza della “ragazza oggetto” Shirl (Leigh Taylor-Young).
Un futuro peggiore
Thorn è come un bambino di fronte alla semplicità di risorse che quotidianamente, nel vero 2022, diamo per scontate: lo stupore dell’acqua corrente, l’accesa rotondità di una saponetta, la morbidezza di un divano, la fragranza di una mela, il piacere di una sigaretta e poi carta, matite, libri e bourbon. Quando vede il manzo, Sol si commuove e dice: «Ma come abbiamo fatto a ridurci così?» I due coinquilini annusano lo stufato come due bambini felici e inforcano le foglie di lattuga scondita come fossero alghe di un altro pianeta. Quando Thorn si impossessa di un cucchiaino sporco di marmellata alle fragole, condivide anche quello con il suo aiutante. È solo una sensazione, ma i due, accompagnati dalle sinfonie di Tchaikovsky, Beethoven, Grieg e Mozart, sono in estasi. «Ogni volta che si vede qualche cibo c’è una voluttuosità, una voglia quasi sessuale rispetto a questo oggetto del desiderio di cui se ne conosce l’esistenza ma ormai soltanto per memoria», ci spiega Lavagnini. «Eravamo stati sempre abituati ad una fantascienza dal sapore progressivo: pensavamo tutti quanti che il futuro avrebbe offerto cose migliori, e invece il futuro è molto peggio del presente in questo caso».
La verità che fa male
È l’amara verità che prima affloscia e poi letteralmente annienta il prete madido di sudore che accoglie confessioni, malati e senzatetto. È l’amara verità che induce Sol a recarsi al centro di suicidio assistito dove sceglie colore (arancione) e note della sua dipartita (pure questo un tema attualissimo anche a seguito dell’annuncio di Mark Fleischman di morire a Zurigo il 13 luglio). Dopo aver bevuto la pozione, Roth viene adagiato su un letto comodo, assistendo come all’IMAX allo spettacolo della vita da cui l’uomo è ormai stato escluso («la gente è sempre stata marcia, ma il mondo era bellissimo»). Proprio lui che, incalzato da Thorn in precedenza nel corso del film con la domanda “quale Dio, signor Roth? Dove lo troveremo?” aveva risposto “Forse a casa, sì a casa”. Senza nulla togliere alla monumentalità di Heston (attore e attivista, visto in Ben-Hur, I dieci comandamenti, Il pianeta delle scimmie, Occhi bianchi sul pianeta Terra, Julius Caesar, Ogni Maledetta Domenica) è Edward G. Robinson il gigante che stabilisce lo status di grande opera per questo film. Robinson, che non si era mai riuscito a scollare di dosso l’etichetta del gangster o di altri ruoli correlati alla malavita, riesce finalmente ad interpretare un personaggio diverso, morendo pochi giorni dopo aver girato le ultime scene del film, dopo aver tenuta nascosta la malattia.
Viene da pensare che la sua commozione di fronte a fondali marini, cascate e paesaggi mozzafiato sia effettivamente reale. Aggiunge ancora Lavagnini: «Come si sa, una delle frasi più famose ricordate in tutti gli annuali dei film americani è proprio Robinson che, quando interpreta il piccolo Cesare, dice: “Mother of mercy, is this the end of Rico?” (che è il nome del suo personaggio). Forse non è stata esattamente quella la sua fine, non da gangster, ma così come lo vediamo in questo film, così politicamente in una scena accetta una sorta di eutanasia, perché probabilmente si rende conto che non c’è nient’altro da fare per lui in un mondo così crudele, bugiardo che non offre nessun tipo di possibilità alle persone che non accettino o che non partecipino alla spartizione del bottino. Ne esce fuori una persona estremamente delicata, appropriata come pochi attori per una figura di questo genere». A questo punto, restano alcuni interrogativi da sbrogliare: il sovrappopolamento globale da chi e come è controllato? Sono solo le persone, i comuni cittadini, i responsabili diretti? Volete sapere la verità? Non vi resta che guardare il film…