Dietro agli eccessi della città del divertimento senza limiti si nasconde una realtà molto più complessa
Las Vegas è La Mecca dell’eccesso e del divertimento senza limiti, un mosaico di luci scintillanti, rumori incessanti e persone di ogni etnia e status sociale. La città si presenta come un immenso parco giochi per adulti. «È l’unico luogo che conosco in cui i soldi parlano davvero, ti dicono: “ciao ciao”», scherzava Frank Sinatra. Ma, oltre la sua facciata glamour, si nasconde una realtà più complessa fatta di solitudine e disperazione.
La cosa che mi ha subito colpito, al mio arrivo a Las Vegas, è stata la presenza ubiquitaria delle slot machine. Non sono limitate ai casinò, come mi aspettavo, ma distribuite ovunque: dai market alle stazioni di servizio; le ho trovate persino nell’antibagno all’aeroporto. In città se ne contano oltre 200mila. Ogni spazio è strategicamente sfruttato per invogliare al gioco il prima possibile, creando un circuito di azzardo che inizia non appena si atterra e continua fino all’imbarco per la partenza.
Nel mio immaginario, creato da centinaia di film e serie TV, le slot erano un contorno ai giochi più “seri”, il primo aggancio per chi non conosce le regole del poker o del blackjack. Sono invece le vere regine di Vegas, regine malefiche e voraci.
Ma iniziamo dal centro, e al centro di tutto c’è la “Strip”.
La Strip è la lunga strada del divertimento, sulla quale si affacciano i grandi casinò e gli imponenti alberghi che si stagliano sugli edifici circostanti, è nota per essere il posto più luminoso della Terra se osservata dallo spazio.
Dall’aereo si distinguono le luci verdi del MGM Grand, la torre Eiffel in miniatura del Paris, il palazzo a tre braccia del Mirage; la Strip è sfavillante, è l’arteria pulsante di Las Vegas.
Si dice che nel solo incrocio tra Tropicana Avenue e Las Vegas Boulevard ci siano lo stesso numero di camere d’hotel dell’intera San Francisco.
Una strada lunga 5 miglia che produce un giro d’affari di oltre 10 miliardi di dollari – paragonabile al PIL dell’intero Nicaragua –, sulla quale puoi fare di tutto: ascoltare concerti grandiosi; dormire in camere che sono miniappartamenti; sposarti per poche centinaia di dollari nella Graceland Wedding Chapel – la stessa dove si è sposato Bon Jovi – con Elvis e Marilyn come testimoni. E ovviamente puoi azzardare a qualsiasi ora e con qualsiasi tipo di gioco. Ma Las Vegas non è solo luci e divertimento.
Oltre la Strip
La vista dall’alto, mentre l’aereo si solleva, svela un contrasto impressionante: la frenesia dei grandi casinò della Strip è un’isola, circondata da un mare di strutture modeste.
Sfumate le luci sfavillanti, compaiono una rete di abitazioni semplici e attività quotidiane. Una distesa di casette anonime, con il prato bruciato dal sole e le pareti dello stesso marrone del deserto che le circonda. Qui abitano oltre 600mila persone. Sono i lavoratori che permettono a Las Vegas di accogliere 40 milioni di visitatori ogni anno.
In queste zone, sconosciute ai turisti, in casinò piccoli e anonimi, si trova una realtà più ordinaria e potenzialmente più insidiosa. Qui, l’azzardo perde ogni fascino. Non è più la trasgressione di una notte, diventa quotidianità, si trasforma in una routine pericolosa, con lavoratori che spesso investono tutti i propri guadagni direttamente nelle macchine dell’azzardo.
Nei decenni, l’attrattiva turistica di Las Vegas è aumentata esponenzialmente e con essa anche le persone che vi si sono trasferite in cerca di lavoro. Le offerte erano molteplici: cuochi, barman, croupier, camerieri, ma anche falegnami o muratori.
Questa moltitudine di persone è fondamentale nell’economia cittadina, purtroppo non solo per il proprio lavoro.
La stragrande maggioranza – i 2/3 – dei residenti nell’area metropolitana di Las Vegas gioca d’azzardo. A differenza dei turisti, che azzardano, magari intensamente, ma solo per pochi giorni, i residenti sono giocatori abituali, possono arrivare a giocare quasi quotidianamente anche per molte ore di fila.
I casinò di quartiere sono lì per fagocitare i loro stipendi e le loro mance, ma diventano anche una sorta di laboratorio dell’azzardo. Non esiste nessun altro contesto al mondo dove gli abitanti siano sottoposti a un’offerta di azzardo tanto ampia e costante; l’impatto sociale ed economico che ha sulle loro vite può essere una spia del nostro futuro.
Ma questi luoghi sono perfetti anche per sperimentare: provare nuove macchine maggiormente perforanti, studiare l’impatto che luci, colori e suoni hanno sui clienti. Nei locali viene addirittura insufflata un’aria euforizzante, sovraccarica di ossigeno e azoto per inebriare i presenti.
Ogni giorno, migliaia di persone smontano il turno come concierges o come tassisti e, invece di tornare a casa dalla famiglia, si chiudono in un casinò di quartiere o si fermano a una stazione di servizio, si siedono davanti a una slot e iniziano ad azzardare. Possono andare avanti per ore e ore, a volte per tutta la notte, combattendo il bisogno di fare la pipì, resistendo al sonno, trascurando chi li aspetta; finché non perdono tutto e con un grande senso di vuoto e frustrazione, a volte addirittura di nausea, si ritirano in attesa di trovare altro denaro per azzardare ancora.
La certezza di perdere
Perché lo fanno? Perché tante persone rinunciano a molte ore della loro vita e si sottopongono a privazioni al limite della tortura, pur di restarsene inebetite davanti ai rulli di una slot? Cosa sperano di ottenere?
Dovrebbero bastare minime conoscenze matematiche per disincentivare ogni forma d’azzardo. Le slot del Bellagio o del Cesar Palace funzionano in modo simile alle macchine nostrane: le VLT (Video Lottery), che si trovano nelle sale disseminate nelle periferie cittadine, e le Newslot, che troviamo nei bar o tabacchini sotto casa.
Queste macchine non distribuiscono vincite in modo casuale come potrebbe sembrare; sono tarate con una percentuale di pay out – così si chiama la restituzione della macchina – decisa per legge. In Italia, attualmente, quella delle slot è al 68%, per le Video Lottery invece è all’84%.
Cosa vogliono dire concretamente questi numeri? Se gioco una sola volta, la mia possibilità di una piccola vincita è piuttosto elevata, per una VLT appunto dell’84%, per le slot di Las Vegas può addirittura superare il 95% – si dice che le macchine vicine all’ingresso del casinò siano quelle che “pagano di più” per attirare nuovi clienti.
Quindi la prima volta che gioco avrò un’alta possibilità di ottenere una piccola vincita. Ma se la giocata si ripete e diventa costante nel tempo? In questo caso la probabilità si normalizza e, per quanto alta possa essere la percentuale di pay out, comunque perderò.
Anche avessi il 95% di possibilità di vincita, questo vorrà dire che se introduco nella slot 100 euro ne riavrò indietro 95 e ne perderò 5; giocandone 1000 ne perderò 50.
Poco? Purtroppo no, perché le vincite sono ingegnerizzate per essere frequenti e piccole – con la chimera della grande vincita, il jackpot – e saranno immediatamente rigiocate. Anche di queste nuove puntate perderò il 5% o più a seconda della macchina. Quindi i miei 100 euro diventeranno prima 95, poi 90, poi 85 e così via, fino a ridursi a zero.
Azzardando regolarmente vi è la certezza matematica di perdere e questo i giocatori forti lo sanno, lo hanno sperimentato sulla loro pelle.
Nonostante questa evidenza continuano a giocare, perché?
Se lo chiedessimo a uno di loro ci direbbe che: no, non gioca per vincere, ciò che viene vinto è subito utilizzato per avere altro azzardo. Lui gioca per giocare.
Per poter restare nella “zona della macchina”, come la chiama l’antropologa Natasha Dow Schüll, nel suo libro Architetture dell’azzardo (edito da Luca Sossella).
Restare nella “zona”
La “zona della macchina” è una sorta di trance che si produce nel giocatore d’azzardo attraverso l’interazione continua e ripetitiva con la slot machine. In questa condizione, il mondo esterno sfuma, i rumori si attenuano e il senso del tempo si dissolve, lasciando il soggetto completamente assorto nella sequenza di gioco e nell’interazione con la macchina.
La “zona” crea una forma di dipendenza dove la compulsione a continuare a giocare diventa potente quanto il bisogno di una dose di droga per un tossicodipendente.
Il giocatore è spinto da un desiderio incessante non tanto di vincere, quanto di rimanere in questo stato alterato di coscienza, intrappolato in un loop di gratificazione immediata, dove le preoccupazioni quotidiane si dissolvono e l’unica realtà percepita è quella ritmica e ciclica dei rulli e dei simboli.
La “zona della macchina” è un non luogo in cui ci si può rifugiare, perdendo la percezione del mondo esterno, e dimenticare tutti i problemi, le ansie, le paure, le difficoltà della vita.
Gli stessi giocatori compulsivi, quando riemergono dal loro stato di alterazione da azzardo, si chiedono come siano potuti restare per ore davanti ai rulli di una slot, riducendosi in uno stato pietoso. Cosa li abbia tenuti incollati al gioco per tutto quel tempo, come paralizzati, facendogli perdere la percezione del tempo e di ciò che succede loro attorno.
Le regine di Vegas
Ci sono sempre state persone schiave dell’azzardo, uomini e donne che arrivano ad autodistruggersi giocando alla roulette o a poker. Ce li descrive perfettamente Dostoevskij ne Il giocatore. Ma il numero degli individui che ha sviluppato un disturbo da azzardo non è mai stato così alto.
È la conseguenza di un’offerta sempre più diffusa, sempre più disponibile e sempre più veloce. Sono state proprio le slot a permettere il salto di qualità: quello che era un fenomeno relativamente di nicchia, confinato in aree limitate e destinato a “veri giocatori” con il sigaro in bocca e il bicchiere in mano, seduti attorno a un tavolo verde, è divenuto un fenomeno di massa.
Chiunque può imparare a usare una slot in pochi secondi e queste macchine sono, nella percezione comune, meno pericolose del poker o della roulette, facilitano così l’avvicinamento di persone che non si sarebbero mai accostate al tavolo verde.
Le slot, che in passato erano macchinette di riempimento nei casinò, negli anni si sono prese sempre più spazio. Oggi questi apparecchi generano la maggior parte del fatturato e delle persone che hanno sviluppato una dipendenza da azzardo, oltre il 90%.
Ma cosa le rende tanto dirompenti?
Le persone ratto
Le slot machine si sono trasformate negli anni da semplici meccanismi meccanici a sofisticati dispositivi elettronici che possono manipolare la frequenza e l’intensità delle vincite per massimizzare l’engagement dei giocatori.
Questi apparecchi sono progettati da ingegneri e designer con lo scopo di catturare il giocatore e tenerlo avvinto il più a lungo possibile.
Il meccanismo a cui è dovuta la loro forza di attrazione è semplice, si basa sulla teoria del condizionamento operante formulata dallo psicologo statunitense B.F. Skinner.
La macchina fornisce continui rinforzi positivi: luci, colori, piccole vincite molto frequenti e altrettanto frequenti “quasi vincite”, ovvero combinazioni di figure molto vicine a quelle che regalerebbero il super jackpot, che danno al giocatore l’impressione di essere a un passo dal colpo grosso, dalla vittoria che gli cambierà la vita. Questa tecnica è usatissima nei nostrani “gratta e vinci”, piccole vincite del prezzo del biglietto o poco più, immediatamente rigiocate e grandi vincite che sembrano sfuggirci solo per un numero.
I continui stimoli della macchina sono enfatizzati dalle condizioni circostanti: luci artificiali sparate al massimo, nei casinò è sempre giorno, e finestre oscurate per non avere percezione dello scorrere del tempo; drink e cibo gratis; aria euforizzante; possibilità di fumare mentre si gioca.
Le nostre sale slot sono progettate esattamente allo stesso modo, con lo scopo di facilitare la perdita della percezione del tempo e del mondo al di fuori della macchina.
Più il giocatore sta seduto davanti alla slot più riceve rinforzi positivi che gli fanno dimenticare tutto il resto e lo fanno continuare a giocare per avere altri premi. Desidererà stimoli sempre maggiori e sempre più frequenti, per questo inizierà a puntare cifre più alte e cercherà macchine più veloci.
Il giocatore si trova nelle stesse condizioni del topo nell’esperimento di Skinner: chiuso in una scatola da cui non percepisce stimoli esterni, il topo impara che, premendo una leva, può ricevere un premio, una pallina di cibo. Esattamente come i giocatori, anche il topo non riceve il premio ogni volta che preme la leva, altrimenti lo farebbe solo quando ha fame, come noi apriamo il frigo.
Il rinforzo è intermittente, a volte arriva una sola pallina di cibo, a volte non ne arriva nessuna, altre volte ne arrivano molte. Questo porta il ratto ad avere un atteggiamento compulsivo; il povero topo continuerà a premere sulla leva ancora e ancora per vedere se e come arriverà il suo premio.
Come ci racconta la dottoressa Schüll nel suo saggio, il parallelismo tra il condizionamento operato verso le cavie da laboratorio e quello ai danni dei giocatori ha portato alcune persone con disturbi da azzardo ad autodefinirsi “persone ratto”, chiuse in queste labirintiche scatole, senza un fuori, iperstimolate e paralizzate come sotto ipnosi davanti a una slot.
Progettare la dipendenza di massa
«C’è un’espressione inglese, “by design“, che è molto difficile da tradurre senza che ne venga perso il significato pieno». Ci spiega Marco Dotti, amico, giornalista e docente presso l’Università di Pavia. «Potremmo tradurla approssimativamente con “ingegnerizzazione”. L’azzardo opera una “ingegnerizzazione” della dipendenza. Per questa ragione, Natasha Dow Schüll ha parlato di “addiction by design” (al pari del teorico dei media Geert Lovink, che per definire il contesto di manipolazione emotiva ha parlato di Sad by design, ingegnerizzazione della tristezza)».
Dotti si è occupato per anni di azzardo e dipendenza, è curatore dell’edizione italiana del libro della dottoressa Schüll e di Ludocrazia – edito da O barra O –; la sua visione del dramma dell’azzardo è molto chiara: «L’azzardo di massa non produce dipendenza come un effetto indesiderato e marginale del proprio operare. Al contrario, la produzione di dipendenza di massa ingegnerizzata (by design, appunto) è progettata, programmata, testata fin dall’origine. Direi che è il core business del settore. Che, ovviamente, tende a nascondere questo passaggio con una serie di retoriche che, ahinoi, spesso fanno presa (il gioco responsabile, la moderazione nel consumo etc.). Altrimenti, come nella favola di Andersen, il re sarebbe inevitabilmente nudo. Ma il re è nudo».
«Il nostro compito», conclude con amarezza Dotti, «è indicare essenzialmente questo: la dipendenza di massa, la costruzione ingegnerizzata di una fidelizzazione estrema a un prodotto diseconomico e devastante, sia socialmente che psichicamente, è una delle più gravi contraddizioni delle società che si vogliono ancora dire democratiche».
Las Vegas sotto casa
Las Vegas è il più grande esperimento sull’azzardo al mondo, una distesa di scatole di Skinner, piene di “persone ratto” che dilapidano stipendi e distruggono le loro vite.
I dati provenienti da questo immenso laboratorio dimostrano contro ogni ragionevole dubbio quanto sia devastante il fenomeno dell’azzardo. Azzardare crea dipendenza allo stesso modo in cui la creano le droghe più insidiose.
Dal 2013 il DGA – disturbo da gioco d’azzardo – viene riconosciuto come patologia dalla American Psychiatric Association, la più grande associazione professionale psichiatrica del mondo. L’azzardopatia è causa di debiti, distruzione del tessuto sociale e familiare, perdita del posto di lavoro, cattive condizioni di salute ed è la dipendenza con il più alto tasso di tentativi di suicidio, addirittura il 20%.
Purtroppo, quella offerta da Las Vegas è solo una finestra su un fenomeno ben più vasto. Riflette una questione globale, mostrando come questo tipo di industria possa alimentarsi in maniera predatoria. Il modello di Las Vegas non è un’eccezione, ma un campanello d’allarme.
L’offerta smodata di azzardo a cui sono sottoposti i lavoratori di Vegas non è più, purtroppo, una prerogativa del Nevada o di pochi casinò disseminati sul nostro territorio.
Ormai l’azzardo è ovunque: sale bingo, centri scommesse e sale slot infestano come funghi le nostre periferie; non esistono quasi più bar senza almeno una slot machine; i gratta e vinci si vendono in ogni autogrill; i tabacchini sono diventati dei veri e propri punti di gioco, con un’offerta di azzardo che va dalle slot al Superenalotto, passando per il Win For Life e così via.
E purtroppo ancora non è tutto, l’azzardo online ci può raggiungere ovunque, in casa, in ufficio, a scuola, sono sufficienti un cellulare e una carta di credito.
Anche in Italia, il fenomeno delle “persone ratto” sta crescendo in modo allarmante. Secondo le stime del Ministero della Salute, il numero di giocatori problematici ha raggiunto il milione e mezzo. Un esercito di donne, uomini, ragazzi cui l’azzardo ruba risparmi e vita.
L’esperienza di Las Vegas ci insegna che la dipendenza non nasce da una predisposizione individuale, quanto da un’offerta di gioco esagerata, mal regolamentata e accuratamente progettata per innescare comportamenti compulsivi.
Verrebbe da domandarsi perché un’attività tanto pericolosa venga consentita, anzi avallata; in Italia le aziende che operano nel settore lo fanno per conto dello Stato, su concessione, e fino a pochi anni fa erano addirittura obbligate, per contratto, a pubblicizzare la propria attività.
La riposta è semplice, l’industria dell’azzardo muove una montagna di denaro. Nel 2023 il giocato è arrivato a toccare i 150 miliardi di euro, 20 in più di quanto spendiamo in totale per la Sanità.
Nel 2022 l’azzardo ha portato 10 miliardi nelle casse dello Stato e 20 fuori dalle tasche degli italiani, tanti sono i soldi persi in questa modalità quell’anno. Una tassa occulta che le persone pagano senza rendersene conto.
È proprio questo flusso di denaro in continua crescita che ha favorito leggi sempre troppo permissive.
L’industria dell’azzardo si è specializzata nel capitalizzare le vulnerabilità psicologiche degli individui per massimizzare i profitti, sfruttando meccanismi innati in ognuno di noi allo scopo di stimolare deliberatamente comportamenti compulsivi.
Lo Stato chiude un occhio, o più spesso tutti e due, in cambio della sua fetta.
Ma la dipendenza da azzardo è anche un fenomeno che si può contestare, principalmente attraverso l’informazione. Sempre più bar oggi scelgono di diventare slot free, sostituendo le macchinette mangiasoldi con flipper e calcio-balilla. Sempre più comuni emanano regolamenti restrittivi per impedire a nuove sale slot di aprire.
Se non ci pensa la politica, ci penseranno le persone a difendersi e a difendere il tessuto sociale delle proprie comunità. L’azzardo è, da anni, un fenomeno fuori controllo, come tale va stigmatizzato, disincentivato, ridotto.