Aiuole perfette, cestini ovunque, mezzi di trasporto elettrici, ordine e pulizia. È lo scenario che, il più delle volte, lascia stupiti i turisti italiani che si trovano a soggiornare in una capitale europea. Spesso l’immenso patrimonio storico artistico e culturale delle città italiane non viene rispettato e valorizzato a sufficienza e così il risultato è che il nostro biglietto da visita molte volte ci fa fare una pessima figura e in diverse classifiche europee che premiano le città più pulite, sicure, attente all’ambiente, l’Italia si trova spesso ad occupare i gradini più bassi.
Quando camminare per strada può essere un rischio per la salute
Da poco più di un mese è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il comunicato del Ministero della Transizione Ecologica con l’approvazione del Programma che definisce i macro obiettivi, i criteri e le linee strategiche cui le regioni e le province autonome si devono attenere nell’elaborazione dei Piani Regionali di Gestione dei Rifiuti. Lo scopo è quello di orientare le politiche pubbliche e incentivare le iniziative private per lo sviluppo di un’economia sostenibile e circolare, a beneficio della società e della qualità dell’ambiente. La speranza è che l’annosa questione dei rifiuti che invadono le strade delle nostre città pian piano divenga meno critica. Eppure ancora nel 2022 i cittadini di alcune città come Roma, Napoli e Catania vivono in situazioni indecorose con le strade piene di rifiuti che vengono accumulati senza alcun criterio. Ma a che punto siamo con la differenziata? Secondo il report in base agli ultimi dati Istat (riferiti all’anno 2020) nei vari capoluoghi la quota di raccolta differenziata ha raggiunto il 52,5%, ma in alcuni la situazione è ben più critica. Catania, per esempio, ha perso 4,9 punti percentuali, Reggio Calabria -3,2 e Palermo -2,9. Per quanto riguarda invece, le aree italiane in cui i rifiuti vengono gestiti meglio, sono il Nord-Est (67,7%), il Nord-Ovest (59%) e il Centro (50,3%). Situazione più deludente al Sud, dove la raccolta differenziata si attesta al 43%, e nelle Isole, in cui si raggiunge soltanto il 32%.
Treviso, Ferrara e Pordenone sono le città più virtuose, dove si ricicla la quasi totalità dei rifiuti (87% dei rifiuti). Dati, in generale, non molto confortanti se paragonati a quelli delle altre città europee. Da poco, inoltre, la capitale si è guadagnata il primo posto come città più sporca del mondo, insieme a New York. È quanto emerge da un sondaggio della rivista britannica Time Out fra 27mila persone sparse nel mondo. La questione a Roma ruota da anni attorno alla gestione di Ama, la società che si occupa della raccolta, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti urbani. L’amministrazione capitolina ha lanciato da poco il piano che prevede nuovo personale e nuovi mezzi e ha diviso la città in tre diverse aree di intervento classificate sulla base di tre livelli che definiscono la frequenza di interventi adeguata alle diverse situazioni di criticità. La speranza dei cittadini è di non vedere più per le strade cumuli di sacchi, cassette di ogni tipo, mobili, elettrodomestici, su cui si posano uccelli e animali di ogni tipo. Scene simili a Catania, con montagne di rifiuti alte fino a tre metri. Il problema non è solo dovuto alla gestione delle società addette alla raccolta e alla pulizia, ma anche all’indisponibilità di luoghi dove i rifiuti possano essere smaltiti. Di conseguenza grandi quantità di immondizia devono essere spedite in discariche al di fuori del comune, se va bene, altrimenti fuori dalla regione. E non sempre la locazione è immediata, pertanto i rifiuti restano sul ciglio delle strade, vicino agli usci delle abitazioni, per giorni, settimane, fino a diventare un problema per la salute, ancora di più in periodi di caldo estremo come questo. I medici sottolineano che le temperature elevate e la permanenza prolungata sotto il sole causano la putrefazione dei rifiuti e un cattivo odore che possono causare malesseri, capogiri e aumento della pressione.
In più, all’aumentare del caldo cresce anche il numero dei batteri che prolificano nei cassonetti e nei dintorni. I rifiuti in sé non causano di certo malattie, il problema è quando rimangono ammassati per giorni e diventano un covo di germi in cui si insinuano insetti, topi, scarafaggi, con il conseguente aumento della fauna indesiderata in città. A Roma, per esempio, negli ultimi mesi è cresciuto considerevolmente il numero di cinghiali che dalle campagne si avvicinano ai quartieri residenziali, dove frugano liberamente tra i sacchi di immondizia. Molto se ne è discusso non solo per la loro potenziale pericolosità, ma anche per il rischio che trasmettano virus come la suina. Gli ultimi esemplari sono stati avvistati perfino nel giardino dell’Ospedale Villa San Pietro, in via Cassia. La convivenza con questo animale è diventata sempre più frequente anche in altre città come Torino e Genova. Il problema è che i cinghiali, che agiscono di istinto, stanno sviluppando una sorta di abitudine ad avvicinarsi a quelle zone urbane dove, senza correre i pericoli del bosco, trovano ricchi banchetti di cibo a cui attingere. Ma non è solo la disponibilità del cibo a favorire il loro avvicinamento. Negli ultimi decenni è aumentato a dismisura il numero di cinghiali che vivono nel proprio habitat naturale perché, proprio lì, sono diminuiti i predatori, lupi e orsi; al contempo, con l’innalzamento delle temperature, l’habitat offre loro sempre meno risorse. Di qui l’istinto di avvicinarsi ai centri urbani.
Più aree verdi, più aria salubre
Nell’equilibrio dell’ecosistema cittadino, ancor più se questo è minato come nei casi sopra citati, il verde urbano risulta essere una componente essenziale. Con il cambiamento climatico e gli effetti sempre più evidenti che ne conseguono, la presenza delle aree verdi è strategica. Un parco di grandi dimensioni può abbassare il livello di calore da 1 a 3 gradi rispetto a zone dove non ci sono piante o zone d’ombra. Più una città è verde, più ci sono benefici per la salute dei cittadini. Le piante oltre a ridurre l’afa hanno anche un ruolo fondamentale nella lotta all’inquinamento. L’esposizione allo smog nei centri abitati italiani è sempre più alta e anche quest’aspetto evidenzia quanta strada ancora c’è da fare prima di raggiungere gli standard di altre città europee. Nel 2021 Cremona e Padova, insieme alla città polacca di Nowy Sacz, sono stati gli unici tre centri urbani in Europa ad aver superato la soglia limite annuale dell’Unione Europea per l’inquinamento da “particolato fine” in atmosfera (5 microgrammi di PM2.5, ovvero le polveri sottili, per metro cubo d’aria).
La città italiana con l’aria più pulita è Sassari, al sedicesimo posto in Europa. Seguono poi Livorno, Genova e Salerno, considerate “sufficienti”; mentre le grandi città del centro-sud tra cui Roma, Napoli e Palermo rientrano nella fascia della mediocrità. In fondo alla classifica gran parte dei comuni della Pianura Padana, con “scarsa qualità dell’aria”. Valori che hanno conseguenze non solo sull’ecosistema ma anche sulla salute del cittadino, soprattutto dei soggetti più deboli, come i bambini e gli anziani. Inoltre, l’esposizione prolungata allo smog favorirebbe una maggiore incidenza di malattie cardiocircolatorie, patologie respiratorie e tumori. È soprattutto il particolato PM2.5 ad essere associato ad effetti cardio polmonari, poiché le particelle più sottili riescono a raggiungere i polmoni e perfino arrivare all’interno della circolazione sanguigna, dove causano infiammazione e contribuiscono allo sviluppo di complicazioni cardiache. Secondo uno studio del Policlinico di Milano inoltre, l’eccessiva esposizione allo smog fa aumentare il rischio di soffrire di depressione del 13%. Non è mancato poi il dibattito attorno alla possibile correlazione tra la diffusione di alcuni virus, come il Covid-19 e l’aria particolarmente inquinata.
Uno studio condotto dalle università di Bari e Bologna ha osservato una connessione tra le aree geografiche con livelli di inquinamento oltre il limite consentito e la diffusione assoluta di contagiati su scala provinciale. Anche Harvard si è interrogata a riguardo. Il risultato di uno studio esteso a tutti gli stati Uniti ha sostenuto il forte legame esistente fra PM2.5 e letalità del Covid-19, evidenziando come ad ogni microgrammo in più di smog per metro cubo corrisponda un incremento di mortalità del 15% in quella area. Ecco allora che la natura, ancora una volta, ci viene incontro e alcune città più di altre si mettono nelle condizioni di accoglierne i benefici, come la riduzione dell’inquinamento. Già perché gli alberi riescono a mitigare l’effetto serra assorbendo anidride carbonica e altre emissioni, provocate dalle attività umane, che modificano il clima: possono essere considerati una vera e propria infrastruttura verde di salute pubblica, in grado di aiutare il benessere fisico e mentale delle persone. Gli ultimi dati sul verde pubblico in Italia (Istat, 2021) rilevano, tuttavia, una sostanziale stasi dei valori di incidenza del verde pubblico nei 109 Comuni capoluogo di provincia italiani. Con una media nazionale di appena il 3%, il verde pubblico incide in modo diverso a seconda della geomorfologia dei vari Comuni: si va da valori sopra il 30% in comuni come Sondrio e Trento (a predominanza di boschi), a valori sotto il 4% in 7 comuni su 10.
In tante occasioni le amministrazioni pubbliche si sono rivelate nemiche della natura, spendendo poco nella manutenzione del verde e preferendo tagliare gli alberi, o peggio capitozzarli, anziché aumentarne il numero. In base al report di Legambiente, “Ecosistema Urbano 2021», la città più verde è Cuneo con 190 alberi ogni 100 abitanti, seguono Modena e Trieste con 115 e 102. Alcune amministrazioni più di altre hanno compreso quanto una pianificazione urbanistica e territoriale attenta a valorizzare e incrementare le aree verdi possa portare benefici all’intero ecosistema e a chi lo occupa. È errato e controproducente pensare che la nostra salute dipenda unicamente da quanta cura abbiamo del nostro corpo. Il nostro benessere dipende anche dallo stato di salute della grande casa comune in cui viviamo, laTerra.