Una parte di mondo sfoggia abiti da sogno in tema fiabe, l’altra vive il peggiore incubo
Le Sleeping Beauties del Met Gala, belle come la pace, pulite come il silenzio, truccate come statue. Per alcuni è Zendaya, per altri è Alaa, una di quelle bimbe con il volto grigio, impolverato, con le labbra che sembrano sorridere. Per alcuni è l’abito bianco indossato da Chloë Sevigny, per altri uno di quei lenzuoli bianchi, e quelle in basso non sono rose rosse ma il sangue che non si è contenuto. Wake up, sleeping beauty, wake up. Per alcuni è Rosalía in Dior, per altri è la zia di Aisel che corre senza scarpe e senza meta, come una scheggia impazzita. Più veloce di quelle che le volano intorno fatte di pezzi di tutto ciò che è appena scoppiato qualche tenda più in là. Wake up, sleeping beauty, wake up. È Taylor Russell quella lì? È una foto di Vogue o di Abdallah Alattar? Sarebbe meglio addormentarci tutti anche noi, facciamo che nessun principe venga a svegliarci.
Non conviene essere insonni in un mondo di addormentati. Meglio chiudere gli occhi. Ma non si può trasformare il visto in non visto. O c’è chi può? E se sì, come si fa? Come si fa a non vedere sangue nelle rose, fiori di papaveri schiacciati nei ricami delle gonne gonfie, a non vedere un lenzuolo con un laccio in un abito bianco di merletto, come si fa a non vedere un sacco chiuso in un abito metallico di Balenciaga, a non pensare alla sabbia uscita fuori da sotto l’asfalto nel vedere Tyla e il suo abito di Balmain? È più normale chi impazzisce di impotenza o chi non si lascia scalfire? Wake up, sleeping beauty, perché se tu ti svegli, lasci un po’ di sonno a chi sono sette mesi che non riesce a vedere il buio. A chi ci prova a fare pace col silenzio, ma non ci riesce.