L’altissimo attore irlandese avvia un’iniziale carriera cinematografica, alla fine degli anni ‘70, costellata di piccoli ruoli sino all’affermazione personale – come protagonista – del B movie di culto Darkman (1990), di Sam Raimi. Una pellicola fantastica che in qualche modo rinnova il mito del “Fantasma dell’Opera” ed enfatizza le doti interpretative sul versante tragico di Neeson. Le porte di Hollywood si spalancano. Autori del calibro di Woody Allen, Steven Spielberg, Michael Apted, George Lucas, Kathryn Bigelow, Martin Scorsese, Ridley Scott, Christopher Nolan, Neil Jordan – solo per citare i più famosi – si avvalgono del suo talento. Sintomatico il successo stellare di Schindler’s List – La lista di Schindler (Schindler’s List, 1993) di Spielberg. Poi, a 50 anni suonati, accade qualcosa di imprevisto: Liam decide di esordire nell’ “action movie” più bieco e adrenalinico con Io vi troverò (Taken, 2008), di Pierre Morel (che genererà due sequel, identici, sotto la direzione di Olivier Megaton, nel 2012 e nel 2015). È un evidente percorso in declino che, tuttavia, si discosta da esperienze analoghe di Bruce Willis e Mel Gibson: il primo, ad un certo punto, accetta numerose partecipazioni di pochi minuti (ma con rilievo in cartellone) in pellicole d’azione di scarso livello che trovano distribuzioni alternative, spesso prodotte dal marchio Emmett-Furla Films; il secondo sembra occupare i ruoli del primo – soprattutto dopo che sono emerse le problematiche di salute di Willis – ma in partecipazioni che prevedono il suo nome in cartellone come aggiuntivo.
L’Action-Neeson è una sorta di “franchise”, il personaggio è scolpito con l’accetta
Liam Neeson, al contrario, lavora su un “personaggio” che potremmo impropriamente definire una sorta di “franchise”: l’Action-Neeson. Qualunque siano i film d’azione ai quali partecipa, il “character” è scolpito con l’accetta: uomo alla deriva, divorziato o vedovo, alcolista, killer dal cuore d’oro in procinto di redenzione, al centro di un complotto, spesso destinato ad un epilogo tragico. E fioccano le pellicole “di genere”, in mezzo a prestazioni in film di maggior qualità: L’ombra della vendetta – Five Minutes of Heaven (Five Minutes of Heaven, 2009), di Oliver Hirschbiegel; Unknow – Senza identità (2011), di Jaume Collet-Serra; Non-Stop (2014), di Jaume Collet-Serra; La preda perfetta – A Walk Among the Tombstones (A Walk Among The Tombstones, 2014), di Scott Frank (2014), Run All Night – Una notte per sopravvivere (Run All Night, 2015), di Jaume Collet-Serra; L’uomo sul treno – The Commuter (The Commuter, 2018), di Jaume Collet-Serra; Un uomo tranquillo (Cold Pursuit, 2019), di Hans Petter Moland; Honest Thief (2020), di Mark Williams; Un uomo sopra la legge (The Marksman, 2021), di Robert Lorenz; L’uomo dei ghiacci – The Ice Road (The Ice Road, 2021), di Jonathan Hensleigh; Blacklight (2022), di Mark Williams (2022). Avvicinandosi ai 70 anni Liam intensifica le prestazioni muscolari. L’Action-Neeson diventa sinonimo di “revolver e piagnisteo”: Liam recita sempre con il volto corrucciato. Si compie soprattutto il miracolo, come già accadde con l’idioma scozzese del grande Sean Connery, di far sorvolare il suo pubblico su quell’accento irlandese incollato anche a ruoli che non dovrebbero prevederlo. E così si arriva a questo Memory (2022), di Martin Campbell, che non si vuole far mancare niente e aggiunge un tassello in più all’Action-Neeson: il protagonista è malato terminale di Alzheimer.
Si continua a sostenere che i thriller con Liam Neeson sono terribili, ma ad un’attenta lettura sono addirittura rilassanti nel reiterare un percorso narrativo prevedibile
La critica continua a sostenere che i thriller con Liam Neeson sono terribili, ma ad un’attenta lettura – nella loro ineluttabilità – sono addirittura rilassanti nel reiterare un percorso narrativo prevedibile, come una favola. Il pubblico sa già dove andrà a parare la storia… e vuole proprio questo! Alex (Liam Neeson) è uno spietato ed efficiente killer texano a contratto maturo per la pensione, il cui codice d’onore prevede il rifiuto di assassinare bambini. C’è l’età e c’è soprattutto la sempre più frequente perdita di memoria. Ma prima di riporre le armi, accetta il proverbiale “contratto definitivo/cattiva idea”. Diventa anche il granello di sabbia negli ingranaggi di una missione di infiltrazione guidata dall’agente dell’FBI Vincent Serra (Guy Pearce). Quest’ultimo sta cercando di smantellare una grande rete di pedofili che “recluta” bambini messicani. Tra i vertici di questa rete, una potente magnate immobiliare tra Messico e Stati Uniti, Davana, incarnata da Monica Bellucci. L’attrice ha parlato molto dei vantaggi di invecchiare, nella promozione del film. Peccato che non sia riuscita a trovare un veicolo migliore per rompere gli schemi in cui la sua immagine l’ha imprigionata. Alex è assunto da Davana per eliminare uno dei soci in affari del figlio (pedofilo seriale) e una ragazza di tredici anni, Beatriz (Mia Sanchez) a rischio di espulsione. Alex prende Beatriz sotto la propria protezione, ma Beatriz viene ugualmente assassinata. A questo punto il killer decide di fare pulizia, prima di essere completamente sopraffatto dalla demenza correlata all’Alzheimer, incalzato dalle autorità corrotte ma sostenuto a distanza proprio da Vincent che deve comunque neutralizzarlo. Una cosa è certa. Per quanto feroce possa apparire, tutti vorrebbero avere a che fare con un assassino dal cuore di burro come Liam. Memory, scritto da Dario Scardapane, rifà De zaak Alzheimer (2003), del fiammingo Erik Van Looy, che è tuttavia molto più semplice – quasi televisivo – nello sviluppo narrativo: Vincke e Verstuyft, una coppia di investigatori della polizia di Anversa sono alle prese con la morte di un alto funzionario.
Le piste arrivano a Angelo Ledda, assassino su commissione malato di Alzheimer. Ironia della sorte, Guy Pearce torna sul tema della demenza senile, dopo essere stato protagonista dell’irraggiungibile Memento (2000) di Christopher Nolan. L’Alzheimer è un elemento grazie al quale questo thriller avrebbe potuto distinguersi dagli altri film del genere, ma ci doveva essere la volontà a trattarlo nel giusto modo. La sceneggiatura è caotica, supportata unicamente dalla professionalità degli interpreti con un Liam Neeson che imposta il “pilota automatico” e procede fino all’epilogo (come in fondo già faceva, senza memoria, in Unknown). Registicamente parlando, il neozelandese Martin Campbell (GoldenEye, La maschera di Zorro, Casinò Royale…) offre una prestazione a contratto, replicando pericolosamente prestazione analoga al servizio del declinante Mel Gibson in Fuori controllo (Edge of Darkness, 2010). Ombra di sé stesso, Campbell concepisce delle sequenze d’azione svolte a un ritmo che potremmo definire geriatrico. Lungo il percorso assistiamo, tra l’altro: a una presa di ostaggi, la cui risoluzione stupisce per la stupidità degli organizzatori; alla morte di un personaggio fondamentale il cui sviluppo sulla scena è risibile; al riemergere di reciproche indelebili ferite del passato di killer e poliziotto.
A questo punto la vera notizia sembrerebbe essere il cameo finale in Obi-Wan Kenobi Ewan McGregor si trova finalmente faccia a faccia con il “Force Ghost” del suo ex maestro… Liam Neeson!
Ora, a rifletterci su, a leggere quanto scritto sinora sembra che Liam stia accettando ogni ruolo per necessità alimentari in un percorso vertiginoso verso il basso. Eppure, giungono segnali che sia ben conscio dei suoi “movimenti”. A partire dalle interviste che rilascia. Recentemente “The Guardian” e “The Independent” hanno raccontato le sue bizzarrie, come non accettare le regole del gioco durante le interviste. Sembra che l’attore adotti una tattica di intervista diversa da tutti i suoi colleghi. A Neeson piace sedersi, rispondere alle domande sul suo ultimo film e poi inaspettatamente, proprio mentre il giornalista sta per chiudere, sparare la prima cosa più pazza che gli viene in mente. Nel 2019, per esempio, aveva dichiarato di aver trascorso una settimana a pattugliare il suo quartiere con un manganello, nella speranza di incontrare un “bastardo nero” da poter uccidere per vendicare lo stupro ai danni di un suo non meglio precisato amico. La rivelazione stava intaccando la sua immagine pubblica, con i social media a sbizzarrirsi nel dargli del razzista, al punto da indurre la produzione di un suo film a cancellare l’anteprima promozionale. Poi Liam smentì e le acque si calmarono. Passano pochi mesi, e in un’apparizione ad un programma televisivo australiano fa nuovamente scalpore una sua confessione, in merito alle riprese di un altro suo film a Melbourne, di essersi finalmente innamorato mentre girava il film (è noto a tutti l’incidente che portò alla morte della moglie Natasha Richardson, tragedia dalla quale l’attore non si è mai risollevato). La stampa, ovviamente, si attiva per scoprire l’identità della fortunata: chi è questa donna? L’amore è stato ricambiato? È stato consumato? Ma Liam ci ripensa, e in un’altra intervista al “Daily Mail”, precisa che si è semplicemente trattato di una gag elaborata: «Era una stronzata. Ho detto che mi ero innamorato, ma è stato tutto uno scherzo».
Per lo scorno, ovviamente, dei giornalisti. Infatti, a risentire con attenzione cosa aveva detto Liam, si era divertito a citare in maniera criptica Taken, perché in realtà aveva affermato di essersi innamorato di una donna che era stata rapita (nel film Famke Janssen, prima di numerosi lifting). Quindi la stampa è avvisata: ogni volta che Neeson cita, all’interno di un discorso, il titolo di uno qualsiasi dei suoi film come parte di una frase, l’aspettativa è che stia scherzando. A questo punto la vera notizia sembrerebbe essere il cameo finale di Liam nella miniserie Disney in Obi-Wan Kenobi (2022) dopo decenni di assenza da Star Wars Episodio I: La minaccia fantasma (1999), di George Lucas: Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor) si trova finalmente faccia a faccia con il “Force Ghost” del suo ex maestro Qui-Gon Jinn (Liam appunto), ucciso a suo tempo da Darth Maul. Sulle ragioni del suo ritorno, Neeson ha detto a “The Hollywood Reporter”: «Di certo non volevo che nessun altro interpretasse Qui-Gon Jinn, e volevo dimostrare il mio rispetto per George [Lucas] e per quel mondo mitico che ha creato».
Sarà vero o è uno scherzo?