Se da Milano Centrale o, meglio ancora, da Porta Garibaldi, prendete un treno in direzione Bergamo, Como, Lecco o persino Chiasso, e avete la sorte di scendere al binario 6 della stazione di Monza, vedrete subito il vecchio stadio Sada, il “pollaio”, là dove risuonavano le gesta del “Chelsea di Milano” e del “Borussia di Brianza” anche se, vista la vicinanza alle ferrovie, sarebbe stato più opportuno chiamarla la Lokomotiv Lambro (ma molti poi, compresi i ferraristi, se la sarebbero potuta prendere e, di questi tempi, probabilmente l’avrebbero pure dovuta ribattezzare). In contrasto con lo sfrecciare dei treni, e al contrario dello sport che la rende famosa in tutto il mondo, la velocità non è stata una prerogativa dell’AC Monza, che per arrivare in Serie A ci ha messo più di un secolo. La rocambolesca vittoria nella finale playoff col Pisa ha fatto molto rumore, come il successo di Raffaella Carrà che viene mandato in filodiffusione allo stadio al momento dell’annuncio della formazione (dopo il fischio finale invece, di solito, sono Cochi e Renato a farla da padroni).
Praticamente purgatorio
“DestinAzione ParAdiso” c’è scritto sulle bandiere biancorosse che adornano le vie di Monza ancora in questi giorni, rievocando il brano di Gianluca Grignani che, cresciuto in città, si è riavvicinato anche formalmente alla società, tanto che la sua canzone è diventata la colonna sonora della storica cavalcata. Come detto però, per arrivare in Paradiso, il Monza è dovuto passare più volte da Inferno e Purgatorio (40 campionati di B, un record), 1316 giorni dopo l’“Era Romantica” inaugurata da Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, una seconda giovinezza della coppia che ha fatto grandissimo il Milan, conquistando insieme ben 31 trofei. Negli anni ’70, proprio quando Galliani era consigliere del club («e aveva ancora i capelli» scherza Volpati, una delle vecchie glorie), per quattro stagioni consecutive, il Monza sfiorò la prima serie, mandando in A ben 16 ragazzi tra cui Braida, Terraneo e Buriani.
Nel 1977, la corsa biancorossa si ferma ad un punto dalla promozione; nel ’78 a due; nel ’79 sembra tutto apparecchiato per la festa, ma alla penultima giornata il Monza perde 1-0 in casa contro un Lecce senza ambizioni (sbagliando pure un rigore), e va allo spareggio con il Pescara: sul neutro di Bologna, gli abruzzesi, accompagnati da circa 35.000 tifosi, si impongono 2-0; nel 1980, le speranze monzesi si infrangono a tre punti dalla A; nel 1981 infine arrivano persino ultimo posto e retrocessione. Proprio nel ’79, nel film Agenzia Riccardo Finzi…praticamente detective, Renato Pozzetto diceva: “Io sono del Monza, non riusciremo mai a venire in Serie A”. «L’amarezza per quella A mancata fu simile a quella di uno che va a Roma quattro volte, senza mai vedere il Papa» ha sentenziato pochi mesi fa Alfredo Magni, giovane tecnico rampante, oggi 81enne.
Modello Dacia
La gente mugugna e una variante complottista si insinua nella tifoseria: stai a vedere che non ci fanno salire per non fare concorrenza a Milan e Inter; e poi manca lo stadio. Proprio in quegli anni, al posto del sindaco, il commissario prefettizio Alfio Licandro individua tra via Rosmini e viale delle Industrie l’area dove far sorgere il nuovo impianto, per il quale si prevede una spesa di cinque miliardi di lire e per cui il Comune stanzia i primi 700 milioni. Il Brianteo però non arriverà prima del 1988 e ad un prezzo decisamente superiore. Il match inaugurale, il 28 agosto, in Coppa Italia, il Monza lo vince per 2-1 contro la Roma di Liedholm (una città ricorrente se è vero che il club viene fondato in una pasticceria dell’omonima piazza in centro, e la maglia del club, nei primi 16 anni di vita, è biancoceleste).
Oggi, con alcuni investimenti (9 milioni) e riaprendo la tribuna Est, la capienza verrà ampliata dagli attuali 9.999 ad almeno 15.000 spettatori. Il modello, secondo la visione di Galliani, è quello della Dacia Arena di Udine. E non a caso, a fronte anche dei primi acquisti (per ora sono già arrivati Cragno, Ranocchia, Sensi, Carboni e il monzese Pessina, subito insignito della fascia da capitano), i tifosi già sognano la parte alta della classifica: “portaci in Europa” hanno scandito più volte durante la festa che si snodava per le vie della città, rivolgendosi a Berlusconi. «Puntiamo al decimo posto» ha proclamato Galliani.
Il primo anticipo in tv
Il Monza è arrivato in Serie A solo dopo 110 anni e otto tentativi mancati, ma questo non significa che negli anni non sia stata considerata società all’avanguardia per diversi motivi. Già nel 1955, quando venne rilevata dal patron Sada, proprietario anche della Simmenthal, fu una delle primissime squadre ad assumere la denominazione dello sponsor principale. Quando la Rai decise di trasmettere in diretta il primo anticipo televisivo un sabato d’autunno del 1955, pur potendo selezionare un incontro delle prime tre categorie, la scelta ricadde su Simmonza-Verona, match di Serie B a cui presenziarono appena 1500 spettatori, anche perché per gli appassionati era più grande la curiosità di vedere una partita attraverso il tubo catodico nei bar cittadini che non l’emozione del calcio dal vivo. La trasmissione in diretta della partita fruttò alla società 700.000 lire.
Stroppa nel destino
Oltre alle quattro Coppa Italia di C e l’Anglo-Italiano (1976 contro il Wimbledon), prima del grande salto di categoria, un vanto del club rimaneva (e rimane) quello di aver dato i natali calcistici a diversi giocatori (Sala, Massaro, Casiraghi, Robbiati), ma anche e soprattutto la presenza di una grande tradizione di portieri (Antonioli, Castellini, Terraneo, Castellazzi, Abbiati). Hanno vestito la maglia rossa anche Beccalossi, Branca, Costacurta, Di Biagio, Evra, Ganz, Mondonico e Pulici. E poi c’è Giovanni Stroppa, lui che aveva già centrato una promozione della C alla B nel 1988 da giocatore, e che ha accompagnato per mano il Monza in A da allenatore: “San Giuan fa minga ingann” lo striscione che gli hanno dedicato gli ultras, parafrasando un detto popolare che invoca San Giovanni Battista, patrono della città. Lui che aveva messo la firma sull’Intercontinentale del Milan nella finale del 1990 contro l’Olimpia Asunción.
Le bollette e il sottoscala
Ma dietro questi vanti, ci sono anche una serie di tribolati passaggi di proprietà e l’onta di ben due fallimenti. Dopo i 19 anni di presidenza dell’ex calciatore ed imprenditore Valentino Giambelli (nato e morto ad Agrate Brianza), la società passa a Fazzolari ma si arena praticamente subito il tentativo di trasformarla in un club satellite del Milan. Il settore giovanile viene azzerato. Il Monza si ritrova senza stadio, campo di allenamento (Monzello viene sequestrato), acqua calda ed elettricità. Di stipendi nemmeno l’ombra e sembra che alcuni giocatori siano persino costretti a dormire nel sottoscala del Brianteo. Il 18 marzo del 2004 viene dichiarato il fallimento del Monza Calcio. Pochi mesi dopo, la società viene acquistata da Begnigni: ci si illude di un pronto ritorno in B, ma il peggio deve ancora arrivare.
Tre anni di presidenza Seedorf portano alla retrocessione in Seconda Divisione e nel 2013 l’ex calciatore olandese vende per un euro ad un misterioso imprenditore anglo-brasiliano, Anthony Emery Armstrong, che va in giro in Ferrari (a noleggio). L’inganno dura poco perché la polizia brasiliana scopre una truffa milionaria e perquisisce la sua sede, mentre lui fugge a Dubai. In quella stagione si arriva a tre dirigenze diverse, mentre a vitto e alloggio dei giocatori a volte devono pensarci gli ultras. Mancano un medico sociale, bende, cerotti, luce e gas. Il Monza cambia addirittura 70 giocatori in un anno, riesce persino a salvarsi ma nel giro di pochi giorni fallisce per la seconda volta. Siamo nel 2015 e i brianzoli devono ripartire dalla D.
The last dance
Sotto la presidenza di Nicola Colombo, figlio di Felice ex presidente del Milan, il Monza torna in C. Poi la telefonata di Berlusconi dopo la decisione maturata in uno dei famosi pranzi del lunedì a Villa San Martino con parenti e collaboratori: io e Adriano vogliamo ballare l’ultimo valzer, la nostra personalissima last dance in Brianza. Sfumato il ricorso storico dell’ultima giornata a Perugia, come nel ’99, Berlusconi e Galliani sono dovuti tornare nella massima serie passando per le forche caudine dei playoff. Eliminato il Brescia in semifinale, all’Arena Garibaldi, il presidente si addormentava in tribuna nonostante lo spettacolo pirotecnico offerto in campo e fuori. Settanta milioni e quattro anni dopo, eccoli di nuovo in A pronti a fare mercato e, soprattutto, a sfidare il Milan a San Siro: il 23 ottobre è la data cerchiata in rosso sul calendario. E la vita, la vita…