Per semplici calcoli elettorali, i garantisti stanno cercando di far sciogliere un Comune che ha fatto della lotta alla mafia la sua bandiera
«Da magistrato antimafia intervenivo quando il vaso era già rotto, col mio lavoro potevo solo rimettere insieme i cocci. Mi candido a sindaco per poter intervenire prima, per evitare che il vaso si rompa». A pronunciare queste parole, vent’anni fa, era un Michele Emiliano che si trovava di fronte una Bari diametralmente opposta alla meta turistica che oggi è diventata.
Vent’anni fa, tra i vicoli stretti del capoluogo pugliese, non si sentiva l’odore di focaccia ma quello della polvere da sparo che si accompagnava alla solita sequenza già scritta: il tonfo dei corpi che cadono in terra, le sirene e le urla di mogli e madri troppo giovani per ritrovarsi davanti gli occhi senza vita dei loro amati.
La strategia
Agguati, regolamenti di conti e il solito silenzio complice. Regola non scritta era il coprifuoco che, puntualmente, scendeva tutti i giorni alle 18:00 su Bari Vecchia. Da allora di cose ne sono cambiate molte e, in maniera del tutto oggettiva, non si può certo non attribuire il merito a chi ha provato a rimettere insieme i cocci di un centro storico quasi sepolto sotto le pozze di sangue che la guerra dei clan aveva lasciato un po’ ovunque, da San Girolamo a San Pasquale.
Quattro mandati, due di Emiliano e altri due di Decaro. E oggi sono sempre loro due a essere accusati da una maggioranza che sembra quasi divertirsi a stroncare i modelli e le comunità che potrebbero essere prese d’esempio. Una maggioranza che, d’altronde, non è capace di guardare più in là della prossima tornata elettorale che si svolgerà tra tre mesi nel capoluogo pugliese.
Speculazione politica a colori alterni
26 febbraio. La Direzione distrettuale antimafia di Bari iscrive 130 persone nel registro degli indagati, in quanto sospettate di essere legate ai clan. Tra queste, a finire agli arresti domiciliari, c’è anche la consigliera comunale Maria Carmen Lorusso. Quest’ultima, eletta in quota centro-destra, è poi passata alla maggioranza di centro-sinistra. Stando all’accusa, il marito Gaetano Olivieri avrebbe favorito la sua elezione grazie ad accordi con i clan Parisi, Montani e Strisciuglio.
La vicenda però non tocca l’amministrazione Decaro e a dirlo, a favore di telecamera, è lo stesso procuratore di Bari durante la conferenza stampa sull’indagine: «C’è stata una parziale e circoscritta attività di inquinamento del voto all’interno delle comunali su cui l’amministrazione ha saputo rispondere. Abbiamo accertato l’insussistenza del coinvolgimento del sindaco Decaro».
Parole che tuttavia non bastano per convincere un gruppo di cinque parlamentari pugliesi che il 27 febbraio andrà a incontrare il ministro dell’Interno Piantedosi. Poi, in un’intervista, sarà il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri, a paventare per primo l’ipotesi di scioglimento del Comune di Bari. Misura che lo stesso criticava aspramente quando si parlava, nel lontano 2012, dello scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Reggio Calabria, proposto dall’allora ministra dell’Interno Anna Maria Cancellieri.
In questo caso, tra l’altro, non cambiava solo il colore politico dell’amministrazione comunale legata al centro-destra ma anche i fatti: i commissari inviati dal ministero dell’Interno, non a tre mesi dalle elezioni, avevano evidenziato «una marcata compromissione del principio di buon andamento e di imparzialità» dell’amministrazione, descrivendo la città come «un fertile terreno per la criminalità organizzata». Oltre a un disavanzo che sfiorava i 200 milioni di euro, fu accertato anche il tentativo di infiltrazione di una delle famiglie della ‘ndrangheta in un’azienda municipalizzata del comune.
Nonostante il tutto sia poi stato confermato da sentenze definitive, il senatore Gasparri parlava di speculazione politica, in quanto lo stesso era riuscito a rilevare «molti fatti concreti che parlano a favore di un’amministrazione che non merita un giudizio liquidatorio». Fatti che il senatore non avrà forse rilevato nel dossier di 23 fascicoli inviato, su richiesta del prefetto, dal sindaco Decaro – da 9 anni sotto scorta – dove vengono documentate le attività svolte dal Comune contro la criminalità organizzata durante gli anni della sua amministrazione.
Piantedosi e la discrezionalità elettorale
Il caso non si spegne e il 19 marzo, in un post su Facebook, è lo stesso Decaro a dire: «Oggi è stato firmato un atto di guerra nei confronti della città di Bari. Il ministro Piantedosi mi ha comunicato telefonicamente che è stata nominata la commissione di accesso finalizzata a verificare una ipotesi di scioglimento del Comune». Come nel caso del comune di Reggio Calabria, la nomina di una commissione di accesso è il primo passo dell’iter per arrivare allo scioglimento di un Comune per mafia. Tale commissione – che, di norma, viene richiesta dal prefetto al ministro dell’Interno – ha il compito di fare una serie di accertamenti sulla base dei quali sarà lo stesso ministro a valutare se procedere o meno con la proposta di scioglimento e la conseguente nomina di un commissario.
Mentre Piantedosi ci ha tenuto a sottolineare come la commissione «si è resa necessaria a seguito di un’indagine giudiziaria molto importante», per il sindaco Decaro si tratta a tutti gli effetti di una decisione politica per screditare l’operato della sua amministrazione a tre mesi dalle elezioni. Come ha sottolineato la giurista Vitalba Azzolini, in questa vicenda sono quattro gli aspetti che non quadrano: la nomina di una commissione non avviene in automatico ma è un atto discrezionale che va motivato; normalmente, spetta al prefetto valutarne l’attivazione dopo essersi consultato con la Procura della Repubblica che, in questo caso, aveva sin dall’inizio escluso ogni coinvolgimento dell’amministrazione; è stato il ministro ad aver attivato il prefetto dopo aver sentito i parlamentari pugliesi; i tempi di entrata in servizio della commissione, normalmente dilatati, sono stati rapidissimi.
Un altro elemento da non trascurare, nonostante a prima vista possa sembrare del tutto marginale, è quello dei sondaggi. Il centro-destra, da sempre garantista eccetto che a Bari, da settimane sarebbe stato in possesso di proiezioni che lo davano come sfavorito alle elezioni di giugno. L’indagine appena conclusa poteva essere un ottimo cavallo di battaglia per rendere Bari contendibile: quale modo migliore di affossare l’amministrazione di centro-sinistra, che ha fatto della lotta alla criminalità organizzata il suo baluardo, tacciandola di rapporti con la stessa?
Tra visite e selfie
Strategia che però si è andata a scontrare con la solidarietà espressa al sindaco dai suoi concittadini, che in migliaia hanno partecipato alla manifestazione indetta dalla Cgil in piazza del Ferrarese a Bari. Strategia che ha evitato di trasformarsi in una vera e propria Caporetto grazie alle parole del governatore Emiliano che, sullo stesso palco, ha raccontato di aver portato l’allora assessore Decaro «a casa della sorella di Antonio Capriati, che era il boss di quel quartiere, e andai a dirle che questo ingegnere è assessore mio e deve lavorare perché c’è il pericolo che qui i bambini possano essere investiti dalle macchine. Quindi, se ha bisogno di bere, se ha bisogno di assistenza, te lo affido».
Parole che si prestano a fraintendimenti e manipolazioni soprattutto da parte di chi non conosce né la storia dello stesso Emiliano che, quando indossava ancora la toga, fu l’artefice dell’arresto del boss Capriati, né quella di Bari Vecchia di cui si parlava sopra e che, nel 2004, grazie alla riqualificazione e a una maggior presenza del Comune e delle forze dell’ordine, ha assunto la sua immagine attuale. È in questo contesto che parlare di trattativa stato-PD per la riqualificazione di un quartiere adoperata da un ex magistrato antimafia appare del tutto fuorviante e sembra l’ultimo tentativo di far calare il sipario su un copione recitato male e che, difficilmente, qualcun altro avrebbe saputo recitare meglio.