Nba, Boston vince gara-7, Finals contro Golden State

E se iniziassimo parlando di vaccini? Ancor prima che la palla a spicchi iniziasse a rimbalzare per la prima volta, il caso che ha tenuto in ostaggio le trasmissioni dedicate all’NBA è stato quello di Kyrie Irving. L’unica stella che ha deciso di non sottoporsi ad alcuna dose e che per questo motivo è stato messo fuori squadra dai Brooklyn Nets, che hanno dovuto fare a meno del numero 11 per la gran parte della stagione. Un handicap non indifferente, con Steve Nash che ha dovuto aggrapparsi all’ennesima stagione da alieno di Kevin Durant. Ma saremmo bugiardi e disonesti se non partissimo dal fallimento dei Los Angeles Lakers per analizzare la regular season. Puntavo a lottare per il titolo invece neanche al Play-In sono arrivati i gialloviola in una stagione snervante e problematica. Colpa di un ammasso di scelte sbagliate, a cominciare dalla trade dello scorso 6 agosto in cui si è deciso – con il via libera di LeBron – di portare in California un Russell Westbrook che da uomo della provvidenza si è trasformato in un peso per l’intero roster. Per non parlare dei continui, e ormai prevedibili, infortuni di Anthony Davis e delle decisioni mai all’altezza di Frank Vogel per una franchigia come i Lakers, pagate con l’esonero a fine anno. Quindi la risposta è ‘no’, la storia non ha insegnato niente. Per ora i quattro anni lebroniani dei Lakers sono lì, sotto gli occhi di tutti, con due stagioni di playoff non centrati, una eliminazione al primo turno (contro Phoenix), dopo averli raggiunti via playin, ed un titolo, quello del 2020, quello della bolla di Orlando, della stagione contrassegnata dalla lunga sospensione per Covid, ed anche, precedentemente, dalla tragedia di Kobe Bryant, che per molti è un titolo vinto su cui bisognerebbe mettere un asterisco. Sarebbe ancor più sbagliato concentrarsi solo sugli aspetti negativi.

La rinascita dei Chicago Bulls è stata una delle storie più belle dell’ultimo campionato, anche se il cammino si è interrotto bruscamente alla soglia dei playoff. Ma i meriti sono sotto evidenti, e portano il nome di DeMar DeRozan. Con i 38 punti rifilati ai Sacramento Kings nella vittoria allo United Center per 125-118, il californiano è diventato l’unico giocatore di sempre nella NBA a chiudere almeno 7 partite di fila con almeno 35 punti segnati tirando meglio del 50% dal campo, superando anche Wilt Chamberlain, fermo a 6. Una trade perfetta, per regalare a Zach LaVine un compagno all’altezza della situazione, peccato per quello che è successo a Lonzo Ball, che ha salutato la stagione troppo presto, senza poter regalare il suo basket ai Bulls, che nella seconda parte dell’anno sono calati di rendimento. Trend opposto a quello di Memphis, vera e propria sorpresa, capace di chiudere al secondo posto a ovest dietro ai quei cannibali che portano il nome di Phoenix Suns. Se non fosse già abbastanza chiaro, Ja Morant dimostra ancora una volta di essere in futuro della pallacanestro americana. I Grizzlies si sono confermati come una delle franchige più divertenti da seguire: spettacolo garantito e rosa profondissima. Per il resto è stata la battaglia dei centri: con il continuo botta e risposta tra Nikola Jokic e Joel Embiid. Il lungo di Philadelphia è stato protagonista assoluto dei Sixers, ma non è bastato per portarsi a casa il titolo di MVP, andato per il secondo anno consecutivo al serbo dei Denver Nuggets. Rimanendo in Pennsylvania non si può non menzionare il grosso scambio tra Brooklyn e Philadelphia, che ha portato James Harden a vestire la maglia dei 76ers in cambio di tre giocatori, tra cui Ben Simmons. Al termine della regular season le squadre già matematicamente ai Playoff 2022 erano 12. A Est: in ordine di classifica, Miami Heat, Boston Celtics, Milwaukee Bucks, Philadelphia 76ers, Toronto Raptors e Chicago Bulls. A Ovest: Phoenix Suns, Memphis Grizzlies, Golden State Warriors, Dallas Mavericks, Utah Jazz e Denver Nuggets.

Il bilancio dei playoff

L’equilibrio che non ti aspetti. Non tanto al primo turno, senza grosse sorprese. Le favorite hanno mantenuto le promesse mandando a casa le prime otto franchigie, quattro da una parte e quattro dall’altra, senza troppa difficoltà: Atlanta Haws, Toronto Raptors, Brooklyn Nets, Chicago Bulls / Minnesota Timberwolves, Denver Nuggets, New Orleans Pelicans e Utah Jazz. Da questo momento in poi si è iniziato a fare sul serio. Miami ha fatto capire le sue qualità nel confronto, mai realmente in discussione, contro Philadelphia. Anche se la vera prova di forza è stata quella di Boston contro i campioni uscenti di Milwaukee. Dopo aver stracciato i Nets 4-0, ai Celtics è servita gara 7 per approdare alla finale di Conference con gli Heat. Neanche un supereroe come Giannis Antetokounmpo ha potuto nulla davanti alla coppia JJ, Tatum-Brown. Stesso risultato per quanto riguarda la parte opposta del tabellone, con Doncic capace di scrivere la storia contro il Phoenix.

Nba, Boston vince gara-7, Finals contro Golden State

Il numero 77 di Dallas è riuscito a rimontare due volte lo svantaggio contro i Suns (sotto 0-2 e 2-3) e a passare in gara 7 fuori casa. Non solo. È stato selezionato nel primo quintetto All-NBA, è diventato l’ottavo giocatore di sempre a chiudere per tre anni consecutivi i playoff con almeno 30 punti di media (solo lui e Wilt però ci sono riusciti nei primi tre PO disputati in carriera), è attualmente il giocatore con la media punti più alta di sempre nelle gare ad eliminazione con 35.0 a partita. Il cammino, per forza di cose, si è interrotto davanti alla qualità media di un altro livello di Golden State. I Warriors di Steph Curry sono riusciti a sbarazzarsi con disinvoltura prima dei Memphis Grizzlies e poi dei Mavericks per approdare alla sesta finale NBA negli ultimi otto anni. A raggiungerli per un posto nell’Olimpo del basket sono stati i proprio i Celtics, con il duello più appassionante di questi playoff e una gara 7 contro Miami che rimarrà nella storia.

Boston Celtics

Il percorso di Tatum e compagni inizia da lontano. Nonostante una partenza a dir poco stentata, i Celtics sono stati una delle migliori squadre della scorsa regular season. Con un record di 51-31, il roster del Massachusetts ha ottenuto il secondo posto nella Eastern Conference, diventando anche la prima squadra nella storia NBA a chiudere la stagione con oltre 50 vittorie partendo da un record negativo a metà della stessa. Si potrebbe quasi parlare di miracolo da parte di Ime Udoka, alla prima esperienza da General Manager dopo essere stato vice agli Spurs, ai Sixers e ai Nets. Arrivato a giugno 2021, ha rivoluzionato il gioco di Boston, facendo emergere le peculiarità dei migliori, valorizzando Marcus Smart e rigenerando un veterano come Al Horford, l’arma in più dei Celtics, soprattutto ai playoff. Ora è caccia al titolo che manca dal 2008.

Golden State Warriors

Forse è banale, ma è giusto farlo. Iniziamo dai numeri e dal record di triple centrate in carriera da Steph Curry, il più grande tiratore di tutti i tempi. Nella partita giocata contro i New York Knicks, nella notte tra il 14 e 15 dicembre, Curry ha infilato 5 canestri da tre punti, raggiungendo i 2.977 segnati in carriera e superando il precedente detentore del record, Ray Allen, con 2.973. Pochi giorni dopo, il 28 dicembre, è diventato il primo giocatore nella storia dell’NBA a siglare più di 3000 triple in carriera. Leggenda. Così come il resto della squadra, che ha potuto finalmente riabbracciare Klay Thompson, dopo una vita fuori dal campo. Ma il vero plus della stagione è arrivato da Jordan Poole, designato da tutti come possibile rivelazione dell’anno. Così è stato.

Nba, Boston vince gara-7, Finals contro Golden State

Il discorso di Steve Kerr

In nessun altro posto come negli Stati Uniti lo sport è riuscito a fare da cassa di risonanza per l’opinione pubblica. Dall’impegno di Muhammad Ali contro la Guerra in Vietnam alla battaglia di Lewis Hamilton e LeBron James in favore del movimento ‘black lives matter’ contro l’odio razziale. Il discorso di pochi giorni fa del coach di Golden State va proprio in questo senso. Al centro del suo sfogo c’è l’indiscriminato possesso di armi da parte dei cittadini, che ha portato all’ennesima strage di bambini, stavolta in Texas. “Non parlerò di basket – ha esordito Kerr nella conferenza stampa dello scorso 25 maggio – . Non è successo niente con la nostra squadra nelle ultime sei ore. Qualsiasi domanda sul basket non ha importanza. Da quanto sappiamo 14 bambini e un insegnante sono stati uccisi a 400 miglia da qui (il bilancio salirà poi a 19 bambini e 2 adulti, ndr). Negli ultimi 10 giorni, abbiamo avuto anziani neri uccisi in un supermercato a Buffalo, fedeli asiatici uccisi nel sud della California, ora abbiamo bambini uccisi a scuola. Quando faremo qualcosa? Sono stanco. Sono così stanco da alzarmi da qui e porgere le condoglianze alle famiglie devastate che sono là fuori. Sono stanco dei momenti di silenzio. Basta”.

Kerr ha esortato il Congresso ad accelerare sulla norma che impone controlli sui precedenti per l’acquisto di armi. “Ci sono 50 senatori in questo momento che si rifiutano di votare sulla regola di controllo dei precedenti che la Camera ha approvato un paio di anni fa. È lì da due anni. C’è un motivo per cui non lo voteranno: mantenere il potere. Chiedo a te, Mitch McConnell, a tutti voi senatori che rifiutate di fare qualsiasi cosa per la violenza, le sparatorie nelle scuole, nei supermercati, vi chiedo: mettete il vostro desiderio di potere prima della vita dei nostri bambini e dei nostri anziani? Perché è così che sembra. Sono stufo. Ne ho avuto abbastanza. Faremo la partita stasera. Ma voglio che ogni persona qui, ogni persona che ascolta questo, pensi a suo figlio o nipote, madre o padre, sorella, fratello. Come vi sentireste se questo vi accadesse oggi? Non possiamo diventare insensibili. Non possiamo sederci qui a leggere le notizie e andare, beh, concediamoci un momento di silenzio. Vai Dubs. Andiamo, Mavs, andiamo. Questo è quello che faremo. Andiamo a fare una partita di basket. Cinquanta senatori a Washington ci terranno in ostaggio”.

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