Il futuro degli iconici distillati messicani è incerto a causa del cambiamento climatico e delle monocolture intensive
Complice l’aumento delle temperature e la riduzione delle riserve idriche dovuta alla drastica riduzione delle precipitazioni, la produzione agro-alimentare mondiale sta subendo profondi cambiamenti. Di questo passo continueremo a pagare sempre di più alcuni tipi di frutta e verdura, così come alcuni cereali e, chissà, potremmo non dare più per scontata la presenza di alcuni prodotti come il caffè nella nostra routine quotidiana.
Alla lista degli alimenti che rischiamo di perdere a causa della crisi climatica si aggiungono due distillati celebri in tutto il mondo: il Mezcal e la Tequila. Entrambe le bevande si ottengono con l’impiego della stessa pianta, l’agave del Messico; la differenza tra le due consiste nella specie di pianta utilizzata, nei tempi e nei modi di lavorazione. La Tequila, la cui domanda è cresciuta del 526% negli ultimi trent’anni, è prodotta a Jalisco, uno Stato che si affaccia sull’oceano Pacifico e deriva dall’agave di Weber, ossia l’agave blu. Il Mezcal, invece, si produce con una varietà di agave variabile tra trenta differenti specie.
Mentre la Tequila oggi è per la maggior parte prodotta da grandi industrie, il Mezcal continua a essere fatto per lo più in modo artigianale. Da anni, tuttavia, lo stato di salute della pianta di agave si sta aggravando drasticamente, tanto che si è iniziato a parlare di “crisi Mezcal”. La pianta, infatti, pur essendo di natura resistente alla siccità, non è necessariamente resistente agli sbalzi meteorologici drastici che il cambiamento climatico ha amplificato e continua ad amplificare.
La domanda di Mezcal aumenta e l’ambiente ne risente
Come nel resto del Pianeta, anche in Messico si è registrato negli ultimi tre anni un drastico calo delle precipitazioni. Tra il 2022 e il 2023 le piogge, in gran parte del Paese, sono state inferiori del 25% rispetto alla media. Al contempo, le temperature elevate (punte di quasi 44°C in alcune aree come Puente Mezcal) hanno compromesso le aree di coltivazione dove, storicamente, non si è mai fatto ricorso all’irrigazione.
La pianta, infatti, di per sé non necessita di grosse quantità di acqua, per secoli è sopravvissuta con l’umidità e le razionate precipitazioni tipiche del territorio, ma l’estrema siccità dell’ultimo periodo ha portato l’agave a soffrire, allarmando i produttori. Se stenta a sopravvivere, la produzione di Mezcal cala e la domanda sul mercato non può essere soddisfatta. Dall’altra parte, per stare al passo con la richiesta nell’ultimo decennio si sono consolidate pratiche che, a loro volta, hanno un impatto devastante sull’ecosistema della nazione.
Negli ultimi otto anni la produzione del distillato è decuplicata, basti considerare che nel 2022 si è arrivati a 14,5 milioni di litri rispetto a 1,4 milioni di litri del 2014. Per raggiungere queste cifre, ovviamente, non è bastato fare affidamento sulla natura ma i produttori sono intervenuti trasformando brutalmente il paesaggio della campagna messicana. Paesaggi incontaminati, dove l’agave cresceva tra alberi secolari e cactus, si sono trasformati in estese monocolture che costituiscono una minaccia sia per le varietà selvatiche di agave, che scarseggiano sempre di più, sia per le foreste del territorio, abbattute e distrutte per far posto alle monocolture intensive. La rimozione di boschi e foreste comporta infatti una gravissima perdita della biodiversità del territorio e gli esperti sottolineano che, tra le altre cose, ciò impedisce il raggiungimento di elevati livelli di assorbimento dell’anidride carbonica, il principale gas serra.
Il programma “bat-friendly” per ripristinare la diversità biologica dell’agave
Quello che una volta era un prodotto unico, artigianale, frutto di una lunga tradizione tramandata all’interno dei villaggi messicani, oggi si sta trasformando sempre di più in un prodotto universale che risponde al capitalismo e alla globalizzazione. A causa dell’introduzione dell’agricoltura intensiva la diversità genetica della pianta di agave va a diminuire, rendendola oltretutto più suscettibile ai parassiti e ai cambiamenti climatici.
“La diversità genetica nelle colture agricole può fungere da assicurazione naturale contro, ad esempio, le infestazioni di parassiti o i cambiamenti climatici; può anche portare a miglioramenti agricoli”, hanno scritto gli autori di uno studio dell’Università di Göteborg in collaborazione con scienziati messicani e americani. L’erosione genetica delle colture di agave blu, come conseguenza delle attuali pratiche agricole, porta inoltre le piante a adattarsi con più difficoltà alle condizioni climatiche estreme, ossia l’assenza di precipitazioni e l’aumento di temperature. La catena alimentare dell’intero ecosistema, inoltre, ne risente. Le piante di agave che non godono di un buono stato di salute, così come quelle impiantate forzatamente, non danno vita a una quantità sufficiente di fiori di agave i quali, a loro volta, producono un nettare che costituisce il principale nutrimento dei pipistrelli.
Da tempo gli scienziati stanno sottolineando la forte relazione tra pipistrelli e Tequila o, meglio, pipistrelli e agave. Come ha sottolineato il Bat Conservation International (un’organizzazione internazionale non governativa che lavora per preservare i pipistrelli e i loro habitat attraverso attività di conservazione, istruzione e ricerca), la scomparsa dell’uno minaccerebbe la sopravvivenza dell’altra.
Una possibile soluzione alla crisi ambientale che ruota attorno alla pianta di agave è il programma “bat-friendly” (tradotto, “amico dei pipistrelli”), promosso dal gruppo di ricerca di Göteborg, che incoraggia i produttori di Tequila a mettere le piante di agave blu nelle migliori condizioni possibili per la riproduzione sessuale e la fioritura. Questa iniziativa non solo aiuta a preservare la diversità genetica dell’agave, ma sostiene anche i pipistrelli che si nutrono del nettare della pianta. Pratiche più sostenibili che, per quanto eticamente valorose, sono difficili da sposare per i coltivatori messicani che, in certi casi, coltivano le specie vegetali esclusivamente per venderne a loro volta i raccolti alle distillerie.
Gli scienziati che si sono impegnati nel trovare una soluzione a questa situazione hanno constatato, tuttavia, che affinché gli agricoltori adottino pratiche più sostenibili, che preservino quindi la diversità genetica e lo stato di salute dell’agave, sarebbe necessario fornire loro incentivi finanziari sufficienti. “La nostra ricerca mostra che, se adeguatamente compensati, i coltivatori di agave blu sono disposti a partecipare a un programma che mira ad aumentare la diversità genetica dell’agave blu, avvantaggiando allo stesso tempo le popolazioni di pipistrelli”, hanno concluso gli autori dello studio. Il paesaggio di agave dello Stato messicano occidentale di Jalisco e gli impianti di Tequila di quella regione, che nel 2006 sono stati inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, rischiano di subire ulteriori mutamenti che nel giro di qualche anno potrebbero rendere lo scenario irriconoscibile.
È chiaro, dunque, che, per rendere meno incerto il futuro degli iconici distillati messicani, bisogna intervenire con un piano più strutturato che punti anche sulla collaborazione tra enti e istituzioni. Produrre quanto più possibile nel minor tempo possibile è un obiettivo che, per quanto vada incontro al mercato internazionale, è totalmente inconciliabile con il benessere del Pianeta. Deforestazione, fertilizzanti, insetticidi sono la base di una produzione insostenibile che, si spera, non avrà lunga vita. Da una parte la crisi climatica e la dura sopravvivenza delle piante selvatiche, dall’altra le criticità delle agricolture intensive, rendono fortemente instabile il settore. Chissà se i tanti investitori di ogni parte del mondo che hanno puntato sugli amatissimi alcolici messicani non rivedano i propri affari abbandonando il business. Il Pianeta ringrazierebbe.