Il caso di Milano, etichettata (ingiustamente) come terza città più inquinata al mondo, ha alimentato le polemiche
Associazioni, ambientalisti, climatologi, esperti e non solo, criticano da anni l’immobilismo delle istituzioni che, di fronte a una situazione in continuo peggioramento, non fanno abbastanza e non dispongono degli strumenti necessari per la prevenzione e la gestione delle emergenze sanitarie. Nel mese di febbraio 2024 si è arrivato a parlare, appunto, di emergenza per la salute dei cittadini che vivono in città, dove l’inquinamento ha raggiunto livelli piuttosto preoccupanti. Tra tutte, è il caso di Milano.
Tanti abitanti del capoluogo lombardo si sono spaventati leggendo la notizia, poi rivelatasi falsa, secondo cui Milano si classifica come la terza città più inquinata al mondo. A sostenerlo è IQAir, un’azienda svizzera di tecnologia per la qualità dell’aria, specializzata nella protezione dagli inquinanti atmosferici, nello sviluppo di prodotti per il monitoraggio della pulizia e della qualità dell’aria. La classifica stilata è stata costruita, tuttavia, su un campione di 111 città con più di 300mila abitanti e i paramenti presi in considerazione per la formulazione dell’indice AQI (Air Quality Index) sono: la presenza di ozono, biossido di azoto NO2, PM2,5, PM10, biossido di zolfo SO2, monossido di carbonio. È chiaro, dunque, che lo spettro di indagine sia piuttosto ristretto e, al contempo, mancano alcuni elementi fondamentali affinché la classifica possa essere considerata veritiera e attendibile, come la procedura esatta di calcolo dell’indice di qualità dell’aria e di raccolta dei dati. Per arrivare a sostenere che Milano sia la terza città più inquinata al mondo, inoltre, servirebbe analizzare l’indice di qualità dell’aria di tutte le altre città del Pianeta, che sono ben più di 110.
L’allarme e le misure di prevenzione
Cosa c’è di vero, tuttavia, dietro questa notizia? Sicuramente il capoluogo lombardo è una delle città più inquinate del Paese e del continente. Le ultime rilevazioni hanno solo confermato un trend che va avanti da anni. Il 18 febbraio scorso la città, con i 118 microgrammi per metro cubo di PM2.5 (polveri così fini che arrivano fino ai bronchioli polmonari) e i 136 di PM10 (un particolato grossolano) alla centralina di via Senato, ha raggiunto l’apice di un’”emergenza inquinamento” i cui livelli non erano così alti dal gennaio 2017.
Si tratta di un valore 24 volte più alto dei livelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS). Ma da dove arrivano queste polveri in continuo aumento? Le principali fonti di emissione di PM2.5 sono i processi produttivi, la combustione nell’industria, il trasporto su strada, l’agricoltura, il trattamento e lo smaltimento di rifiuti. Per quanto riguarda le emissioni di PM10 le principali fonti sono, anche in questo caso, i processi produttivi, l’agricoltura, il trasporto su strada, il trattamento e smaltimento di rifiuti, ma anche la combustione non industriale, l’uso di solventi e altre sorgenti connesse all’uso di particolari macchinari. Condizioni che portano a un innalzamento sostanziale dei livelli di polveri fini e grossolane nell’aria e che possono causare, nell’uomo, infiammazioni delle vie respiratorie come l’asma. Diversi studi scientifici sottolineano che l’esposizione cronica a questo tipo di particolato è associata anche a casi di tumore alle vie respiratorie.
Nel concreto, dunque, cosa bisognerebbe fare per ridurre l’emissione di queste sostanze? In primis, ridurre il trasporto su strada e provvedere a una regolare manutenzione dei veicoli poiché, laddove essa non venga svolta regolarmente, aumenta sostanzialmente l’emissione di particolato atmosferico dei singoli mezzi. C’è poi la combustione di legna, gasolio e metano, sia a livello industriale sia a livello di edifici pubblici e privati, che contribuisce in maniera significativa all’emissione di polveri fini nell’aria. Più del 20% del PM 2.5 infatti, proviene dalle stufe a legna e a pelle presenti nelle abitazioni.
Proprio con lo scopo di porre un freno alle attività più inquinanti della Lombardia sono state attivate, dal 20 febbraio, una serie di misure antismog di 1° livello che sono previste nel caso in cui si registrino quattro giorni consecutivi di livello di PM10 elevato. Nei comuni con più di 30mila abitanti delle province coinvolte (Milano, Monza, Como, Bergamo, Brescia, Mantova, Cremona, Lodi e Pavia) è stata imposta quindi la limitazione alla circolazione tutti i giorni nella fascia 7.30-19.30 per tutti i veicoli Euro 0 e 1 di qualsiasi alimentazione e per i veicoli Euro 2, 3 e 4 a gasolio. Limitazioni anche sull’uso dei riscaldamenti, delle combustioni e della dispersione di sostanze inquinanti utilizzate in campo agricolo.
Aria pulita entro il 2030, i limiti europei
Legambiente ricorda che nel 2023, secondo l’ultimo report di “Mal’Aria di Città”, che ha preso in considerazione i valori di inquinamento forniti dalle sole centraline ufficiali di monitoraggio poste nelle città italiane capoluogo di provincia, 18 città italiane non hanno rispettato il limite previsto per il PM10 di 35 giorni con una concentrazione media giornaliera superiore a 50 microgrammi per metro cubo.
In testa alla classifica delle città fuorilegge secondo la normativa vigente c’è Frosinone, con 70 giorni di sforamento, seguita da Torino con 66 giorni, Treviso 63, Mantova, Padova e Venezia con 62 giorni superamento del limite giornaliero. Ben 16 delle 18 città si trovano nel bacino padano e 6 sono lombarde. Le città con i valori medi più elevati sono Padova, Vicenza e Verona, Cremona e Venezia, Rovigo, Treviso, Torino, Cagliari, Brescia e Mantova. Una situazione preoccupante, considerando che per apportare un cambiamento sostanziale e iniziare a constatare dei risultati ci vuole tempo e che, stando alle nuove direttive stabilite dall’Unione Europea, di tempo non ce n’è così tanto. A partire dal 2030, infatti, entreranno in vigore dei nuovi limiti secondo quella che sarà la nuova direttiva sulla qualità dell’aria. L’obiettivo dell’UE è quello di dimezzare le sostanze più inquinanti entro il 2030. Una riflessione ormai indispensabile visto che l’inquinamento atmosferico continua a essere la prima causa ambientale di morte precoce nell’UE, con circa 300mila decessi prematuri all’anno.
In particolare, le nuove norme stabiliscono limiti e valori obiettivo più severi per diversi inquinanti, che si avvicinano alle linee guida più recenti dettate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per i due inquinanti più dannosi per la salute umana, PM2.5 e NO2 (biossido di azoto), i valori limite annuali dovranno essere più che dimezzati entro la fine del decennio, passando rispettivamente da 25 µg/m³ a 10 µg/m³ e da 40 µg/m³ a 20 µg/m³. Dopo oltre un anno di dibattiti interni alla Commissione Europea, con l’Italia che ha presentato una buona parte delle obiezioni, si è stabilito che gli Stati membri avranno la possibilità di richiedere, entro il 31 gennaio 2029, per ragioni specifiche e a rigorose condizioni, un rinvio del termine per il raggiungimento dei nuovi valori limite. Con ogni probabilità, secondo gli esperti, il Paese non sarà pronto e il governo italiano richiederà tale rinvio.
Molti governatori di regioni, come quello lombardo, Attilio Fontana, utilizzano in loro difesa argomentazioni legate al fatto che il territorio ha una certa conformazione. Il fatto che la Pianura Padana sia una conca dove è più difficile il ricircolo d’aria non giustifica l’immobilismo delle istituzioni e a risentirne sono, ancora una volta, i cittadini. In zone come questa è molto alto il numero degli allevamenti intensivi e delle coltivazioni agricole dove vengono utilizzati sistemi di produzione che prevedono un ampio utilizzo di fertilizzanti. È chiaro che, per ovviare all’emissione di sostanze nocive, bisogna puntare su strategie sempre più “green”. Greenpeace, per esempio, sottolinea che il Il 54% del PM2.5 non è prodotto dalle auto, a differenza di quello che molti ritengono, ma dal riscaldamento e dagli allevamenti. È evidente a tutti quanto in Italia siamo ancora lontani da una mobilità sostenibile e dall’abolizione degli allevamenti intensivi. Per iniziare a rilevare sostanziali miglioramenti nella qualità dell’aria, nel nostro piccolo possiamo sì cercare di utilizzare il meno possibile l’automobile, certo è che non basta. Per centrare gli obiettivi europei fissati al 2030 l’Italia ha ancora molta strada da fare e servono urgenti interventi da parte del Ministero della Transizione Ecologica.
Due anni fa l’Italia ha approvato il Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico, che si basa su una serie di iniziative: tra tutte, l’obbligo di integrare fonti rinnovabili negli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazione e il rinnovamento dei vecchi impianti di riscaldamento con tecnologie efficienti e a emissioni ridotte. Riqualificazione edilizia, trasporti, sistema agroalimentare, bisogna agire in modo più deciso su più fronti, non solo per rispettare i limiti imposti dall’UE, ma anche per toglierci un triste primato: con 80mila decessi prematuri l’anno, l’Italia è il primo Paese in Europa per morti attribuibili all’inquinamento atmosferico.