Le nuove regole degli e-commerce per contenere l’impatto ambientale ed economico: novità e modifiche contrattuali in arrivo
C’è chi almeno una volta nella vita ha restituito un pacco e chi mente. I grandi e-commerce hanno annunciato la svolta proprio durante le ultime festività natalizie, lasciando attoniti gli indecisi cronici dello shopping online.
Dal 2024 si dovrà pagare una cifra, stabilita dal brand, per restituire un capo precedentemente acquistato.
Dati alla mano
Secondo una ricerca di Statista, in media il 43% dei consumatori italiani rispedisce indietro un acquisto. Peggio va in Germania, dove a fare due volte il percorso magazzino – acquirente, acquirente – magazzino, è il 53% della merce, in Olanda il 52% e in Francia il 45%. I resi sono frequenti soprattutto nel settore della moda, in particolare le scarpe sono tra i prodotti più restituiti. Secondo i dati dell’Osservatorio eCommerce B2C 2022 della School of Management del Politecnico di Milano, il valore totale raggiunto dagli acquisti online nel nostro Paese nel 2022 è stato di 48,1 miliardi di euro, in crescita del 20% rispetto al 2021. “L’andamento del mercato è frutto di due dinamiche differenti. Gli acquisti di prodotto continuano a crescere, sebbene con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto a quello dello scorso anno (+18%), e toccano i 33,2 miliardi di euro – ha detto Riccardo Mangiaracina, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c -. Gli acquisti di servizi, invece, portano a termine il percorso di ripresa (+59%) e raggiungono i 14,9 miliardi di euro.
Grazie alla crescita del comparto Turismo e trasporti (soprattutto nei mesi estivi), si compensano (finalmente) le perdite generate durante l’emergenza sanitaria”. La possibilità di fare un reso gratuito, facile e veloce anche dopo diversi giorni dall’acquisto, è un punto di forza per gli e-commerce perché spinge anche gli utenti più indecisi e dubbiosi a portare a termine l’acquisto senza pensarci più di tanto. “Le tre priorità di chi fa shopping online sono i tempi di spedizione brevi, i costi della consegna ridotti e il reso facilitato”, ha spiegato a La Stampa Ivan Russo, docente dell’Università di Verona ed esperto di logistica di ritorno: “Molti e-commerce considerano i resi facilitati un punto strategico centrale per l’esperienza di acquisto. Hanno iniziato gli e-commerce più grandi e a ruota tutti gli altri hanno dovuto adattarsi a questo standard per non essere da meno, e perché gli utenti hanno cominciato ad aspettarselo”.
Step 1 “come boicottare il fast fashion”: facendo pagare il reso
Stiamo solo aspettando una data per ufficializzare la notizia più virale per chi fa shopping online: i resi non più gratuiti. Brand come Amazon, Zara, H&M, J.Crew e Abercrombie & Fitch hanno già messo mano ai loro regolamenti, ponendo fine a un’era di consumi (economici e ambientali) spropositati.
Zara dà il via alla svolta dal Regno Unito, introducendo la tariffa di 1,95 sterline per tutti coloro che hanno intenzione di restituire ciò che hanno acquistato (tuttavia, questa politica non si applica ai resi effettuati direttamente nei negozi fisici della catena spagnola). Un dollaro per Amazon, ma per ora solo negli Stati Uniti (le restituzioni rimangono gratuite per alcuni centri con cui l’azienda ha accordi pregressi) e fino a sette dollari per Zara, Macy’s, Abercrombie & Fitch, J. Crew, H&M, se si tratta di resi postali. In Italia, invece, c’è una doppia opzione di reso: puoi decidere se pagare 4,95 euro, restituendolo online o di riportare il capo in negozio senza spese aggiuntive di reso. Sempre in Italia, Amazon fa sapere che non ha apportato alcuna modifica alle proprie politiche sui resi né ha annunciato di avere in programma di farlo. Di norma infatti è possibile restituire un articolo acquistato su Amazon entro 30 giorni dalla consegna. Non serve addurre motivazioni specifiche: il cliente può anche solo ripensarci. Questa regola non vale però per una serie di articoli che vanno da quelli su misura alle bevande alcoliche, dai prodotti audiovisivi come Cd o Dvd ai contenuti digitali come gli eBook. Secondo la società di consulenza Quantis, nel suo report “Sostenibilità: aggiungi al carrello. E-commerce nel settore fashion in Italia: buone prassi di sostenibilità nel contesto omnicanale”, la fase di “logistiche di restituzione” contribuisce al 3% delle emissioni di gas serra, se si assume un tasso di reso medio del 14%.
Per i cittadini che fanno parte dell’Unione Europea, per ogni prodotto acquistato, esiste sempre un periodo di garanzia gratuita prevista di due anni, a meno che i privati non decidano di applicarne una personalizzata, che però non deve andare a sostituire quella prevista dalla direttiva UE. A prescindere, ogni cittadino ha diritto a restituire qualsiasi oggetto, senza dover dare spiegazioni, entro 14 giorni dall’acquisto.
Step 2 “come boicottare il fast fashion”: sensibilizzare le persone sulle pratiche di acquisto
Le ragioni più comuni per cui un acquirente abbandona il suo carrello virtuale senza terminare l’acquisto, sono in primo luogo le spese di spedizione, seguite dal dover creare un account per poter acquistare e dalla poca chiarezza sulle politiche di reso. Addirittura, “molti hanno un’avversione così sentita al pagamento della spedizione che comprano articoli più costosi o aggiungono altri prodotti al carrello pur di raggiungere l’importo minimo per la consegna gratuita”. Negli ultimi tempi si sono fatte strada diverse tipologie di consumatori online che stanno rendendo i resi una vera e propria trappola per i venditori.
I protagonisti del reso sono: compulsive shopper, che fa acquisti pazzi ma una volta arrivata l’enorme quantità di merce ordinata, si lascia sopraffare dai sensi di colpa e restituisce tutto o quasi. Il wardrober acquista un capo per indossarlo a un evento o postarlo sui social con l’#OOTD (outfit of the day) e restituirlo poco tempo dopo. Infine, il bracketer è quello che acquista diverse taglie o colori dello stesso capo, riservandosi il diritto di provare tutto e tenere solo ciò che gli sta meglio.
Step 3 “come boicottare il fast fashion”: sensibilizzare sull’impatto ambientale
Oltre all’impatto devastante sui piccoli e-commerce, la crescente mole di resi ha anche un forte impatto sull’ambiente. Basterebbe quantificare il consumo di carburante delle autovetture usate dai corrieri per capire la portata del problema, eppure “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”. Il trasporto è infatti la prima fonte di inquinamento. A causa dei resi, i corrieri fanno più del doppio degli spostamenti: portano il pacco, tornano a riprenderlo e ne portano successivamente uno diverso. Anche il packaging risulta altamente inquinante: l’enorme quantità di scatole di cartone e involucri in plastica che vengono generati nel processo di restituzione sta diventando un problema anche per le città, costrette a far fronte a quantità sempre maggiori di rifiuti. Secondo i dati riportati da Vogue Business nei soli Stati Uniti i resi creano più di 5 miliardi di dollari l’anno in rifiuti che finiscono nelle discariche e più di 15 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio: “in pratica l’equivalente dei rifiuti prodotti annualmente da 5 milioni di persone”.
Secondo una ricerca di Capgemini (società leader mondiale nel supportare le aziende nella crescita tecnologica e digitale) l’information technology genera il 4% delle emissioni di CO2 a livello globale. Secondo le previsioni tale cifra aumenterà di tre volte entro il 2025 rispetto ai livelli del 2010. Sempre nel 2025 il solo IT (tecnologia dell’informazione) nel mondo delle imprese avrà una carbon footprint equivalente a 463 milioni di veicoli per anno. In questi dati rientra anche l’inquinamento prodotto dall’e-commerce. Quest’ultimo inquina anche per un’altra ragione: l’aumento delle consegne di ultimo miglio fa crescere il numero di furgoni per la consegna delle merci. Con “ultimo miglio” si intende l’ultima porzione di tragitto percorso da un pacco prima di essere consegnato all’acquirente. Questo può essere un negozio, nel caso in cui si sia scelta la consegna in negozio, un locker (armadietto intelligente per il ritiro), la propria abitazione privata o un ufficio.