Giacomo Ciarrapico, sceneggiatore e regista, firma per la rivista de il Millimetro il primo pezzo della sua nuova rubrica: “Ognuno di noi ha un governo interno”
Il bipolarismo è una malattia. Ma il sistema proporzionale che ho dentro di me ha fatto molti più danni. Io ho un governo dentro. E un’opposizione. E sono governato male: per colpa del mio esecutivo interno faccio scelte sbagliate. Dentro di me ho servizi segreti che mi fanno fare incidenti in motorino, apparentemente casuali, ma in realtà molto mirati. Secondo i miei servizi segreti, quello era il momento di andare a sbattere. La pulsione di morte è una strategia della tensione interna. Ho dentro di me una mafia che mi corrompe, che mi fa scendere a compromessi che non approvo.
Io conosco la risposta alla vignetta di Altan, che si chiedeva chi fosse il mandante di tutte le cazzate che faceva. Io so chi è. È il mio paese interno. Che amo ma detesto a un tempo. Non ho un equilibrio, sento urla. Sono i rappresentanti del Partito del suicidio dentro al mio Parlamento interno (quelli del Partito del suicidio sono pochi ma fanno parecchio casino). Il frastuono spesso mi impedisce di avere relazioni anche semplici.
Il mio governo interno
Non sono matto. Ma ho il germe della follia che si agita minaccioso. Forse proprio per questa mia manifesta instabilità tendo ad attrarre i matti, quelli dichiarati. Quelli che in mezzo alla strada urlano a tutti che è stata invasa la Polonia. Oppure che le leghe bianche stanno tramando contro l’umanità: spesso, quando hanno finito l’intemerata, si guardano intorno, mi vedono e misteriosamente mi puntano. Come a dire: “Voglio parlare proprio con te”. Chissà perché. Forse hanno capito che ho un governo di merda dentro di me e vogliono parlare del loro, di governo: “Ma chi l’ha detto che parlo francese?”, mi chiede indignata una donna in tuta. E io proprio non lo so chi l’ha messa in giro questa brutta voce di questo presunto poliglottismo. Prima di andarsene mi guarda schifata e mi dice: “Mi fai pena…”.
Dentro di me il partito di maggioranza è quello dei sensi di colpa, che sono il motore di tutte le mie azioni. A Natale sono andato a fare volontariato a Sant’Egidio. Mi hanno mandato alla stazione Tuscolana, dove noi volontari abbiamo dovuto offrire pasti (cestini) ai senzatetto, e per tutta la sera sono stato scambiato per un bisognoso, sia dai volontari – che mi offrivano in continuazione i cestini destinati agli indigenti – sia dagli indigenti stessi che, vedendomi con tre cestini in mano (li stavo distribuendo), urlavano che “non è giusto, lui ne ha tre”. Quando ho fatto notare a uno di loro di essere un volontario, quello non ci ha creduto e ha detto agli altri barboni: “’Mazza, questo è matto col botto!”.
“Probabilmente sono pazzo”
Ma, esattamente, cos’è la follia? Da dizionario la follia viene definita: “Stato di alienazione mentale determinato dall’abbandono di ogni criterio di giudizio. Per estensione, mancanza di senno o di controllo morale”. Quindi, in mezzo al traffico siamo tutti pazzi? Sì. E sempre secondo questa definizione, anche i bambini sono pazzi? Sì. Si divertono a fare venti volte una cosa che era già noiosa la prima volta, se non è da folli questo… Anche gli adolescenti sono pazzi: rischiano la vita ogni quarto d’ora e non si sa perché, visto che hanno tutta la vita davanti.
Per non parlare dei vecchi: a un certo punto decidono che sono vecchi, che la vita non è andata come doveva andare, si mettono una tuta acetata, abdicano e vanno completamente fuori di testa. La normalità nella vita può durare, se ti va bene, per sei mesi. Decidi tu quando. E anche in quei sei mesi di normalità quello che ti sembrerà normale parrà una totale pazzia al tuo vicino. La follia è ovunque, come l’acqua. Bisogna saperci convivere. L’eterno silenzio di questi spazi infiniti (Pascal) che levano ogni senso alla nostra esistenza sono già un buon motivo per scapocciare (come si dice a Roma). Ma se si scavalla ci si ammala. E diventa dura. Perché sono passati solo centotrent’anni da quando un austriaco ha deciso che era interessante studiare il cervello delle persone. È una scienza giovane che fa ancora fatica, come quando la medicina aveva poche certezze e i dottori ti infilavano clisteri nel culo urlando parole a caso in latino (Molière). Anche l’uso, o piuttosto l’abuso, delle parole nel linguaggio comune non aiuta. “Sei mezzo matto” suona quasi sempre come un complimento.
Così come “lavorare come un pazzo” significa lavorare molto. Non si dice mai “ho lavorato come un cieco”. “Ho fatto una cosa da pazzo, l’ho invitata a cena”, anche in questo caso non si direbbe mai “ho fatto una cosa da storpio, l’ho invitata a cena”. “Ci siamo divertiti come matti”. A nessuno salterebbe in mente di dire che ci si è divertiti come un cardiopatico. La follia è una patologia diversamente riconosciuta. Si può concludere ribadendo che la follia è ovunque, come l’acqua. Ma ogni tanto, in quell’acqua, ci si annega. E le persone che stanno annegando vanno aiutate. Sempre. Lo dico per puro egoismo. Perché la mia felicità dipende da chi mi sta intorno. Probabilmente perché sono pazzo.