La giornalista pacifista Yekaterina Duntsova non potrà sfidare Vladimir Putin alle prossime elezioni presidenziali. La Commissione elettorale centrale russa ha rifiutato la sua candidatura
Per molti è la donna più coraggiosa di Russia. Per altri, invece, è stata soltanto un grande bluff. Ekaterina Duntsova, quarant’anni, tre figli teenager e due lauree, ha sfidato Vladimir Putin alla corsa per le presidenziali di marzo 2024. Un cammino interrotto all’improvviso, forse sul più bello, quando la giovane promessa della politica – secondo la Commissione elettorale centrale russa – avrebbe commesso diversi errori nella compilazione dei documenti necessari alla sua candidatura.
Nello specifico, ha riferito la testata indipendente Meduza, “i documenti non contenevano un protocollo certificato della riunione del gruppo e contenevano altri errori formali, come l’errata ortografia del patronimico di uno dei partecipanti alla riunione sulla nomina di Duntsova”.
Un sogno interrotto all’improvviso
Uno sbaglio imperdonabile, se vogliamo anche abbastanza incomprensibile, considerando soprattutto le ambizioni e il percorso intrapreso anni prima. Nata a Krasnoyarsk, in Siberia, e residente a Rzhev nell’oblast di Tver, circa 200 chilometri a nord-ovest di Mosca, dopo gli studi universitari di legge e giornalismo, e la carriera da redattrice fino a direttrice delle news in una tivù locale, la Duntsova è stata consigliera comunale nella sua città. Inoltre, ha sempre sostenuto la cessazione delle ostilità in Ucraina, le riforme democratiche e il rilascio dei prigionieri politici: idee così chiare e precise che in molti l’hanno paragonata alla leader delle forze democratiche bielorusse Svetlana Tikhanovskaya, che in passato attaccò le autorità a costo dell’esilio pur di far valere le proprie ragioni.
Detto ciò, Ekaterina non sfiderà più lo zar alle prossime votazioni, il suo sogno è durato soltanto qualche mese, adesso restano da capire le reali motivazioni di questa clamorosa esclusione. Durante la sua prima riunione elettorale c’erano circa 700 persone presenti, quando improvvisamente è saltata la luce e la gente è stata costretta a tornarsene a casa. Tutte situazioni non nuove nella Russia di Putin: con questi sistemi e a volte con l’aiuto di processi penali ad hoc, infatti, alle elezioni politiche del 2021 sono stati esclusi politici oggi in galera per aver espresso opinioni diverse, come Ilya Yashin, o che hanno dovuto emigrare, come Lyuba Sobol. Dopo questa disavventura, come se non bastasse, la Duntsova è stata convocata dai servizi di sicurezza che l’hanno interrogata su alcuni temi basilari del suo progetto. Successivamente, inoltre, i suoi conti in banca sono stati parzialmente congelati.
Eppure qualcosa non torna
Ci sono però diversi dubbi intorno alla figura della Duntsova, elementi che non tornano e che hanno alzato l’attenzione soprattutto tra gli addetti ai lavori. Specialmente sulla sua reale contrarietà all’invasione dell’Ucraina: la Duntsova ha infatti sostenuto di aver intitolato una strada di Rzhev a un suo amico caduto al fronte dopo essersi arruolato come volontario. Ha specificato però di aver proposto tale candidatura per meriti civili della persona e di averlo fatto prima della sua morte in guerra.
Appunto, un gesto incomprensibile: difficilmente si intitola una strada a nome di qualcuno ancora vivo. È da qui che nasce l’interrogativo maggiore: la stampa russa è convinta che la candidatura della Duntsova sia stata fatta ad arte e portata avanti dallo stesso Putin. Ovvero, la creazione di un finto nemico, di un politico con idee completamente diverse da manipolare e gestire a proprio piacimento. Proprio come accaduto con un’altra donna molto famosa in Russia: la conduttrice televisiva e giornalista Ksenia Sobchak, figlia del defunto sindaco liberale di San Pietroburgo, Anatoly Sobchak, l’ex patron di Putin quando era assessore e vicesindaco nella seconda città del Paese. Ksenia Sobchak ha preso posizioni molto critiche nei confronti della politica del Cremlino. “Ma non parlerò mai male del presidente: salvò la vita a mio padre”, disse in una conferenza stampa prima del voto.
Riferimento a una vicenda del 1997, quando Putin aiutò il suo capo di allora a sfuggire a investigatori e nemici poco raccomandabili con una classica operazione clandestina degna del Kgb, da cui il futuro presidente si era appena dimesso. Per questo e altri motivi, Sobchak fu considerata non una vera candidata ma una “spoiler” del Cremlino, utile a disperdere i voti contro Putin. Ekaterina Duntsova ha una storia molto simile. E probabilmente la sua candidatura, durata poche settimane, ha fatto comodo a Vladimir Putin.
“Costruiremo rapporti con l’Europa”
Delusi e amareggiati i suoi follower, che Ekaterina Duntsova ha raccolto attraverso i social nell’arco di questi mesi di preparazione elettorale. Le sue idee erano e sono tutt’ora rivoluzionarie, democratiche, di speranza per la Russia intera. Peccato che non avranno un seguito, da quelle parti funziona così: o la pensi come chi comanda e ti avvicini senza dare troppo fastidio, oppure vieni fatto fuori, arrestato, costretto all’esilio. Lei, al momento, è ancora nel Paese, con il conto in banca bloccato, con una reputazione professionale completamente bruciata, ma tutto sommato viva. Fino a prima di Natale era convinta di farcela, il suo programma aveva sorpreso tutti, come raccontato dalla stessa Duntsova in un’intervista rilasciata all’Espresso alla giornalista Lucia Bellinello: “Credo che una fetta della popolazione desideri vedere una donna al potere, con la speranza che le tensioni diminuiscano. Non so, mi sembra che le persone vogliano essere trattate con una sorta di cura materna, ascoltate, comprese. Forse è proprio questo che manca. Per quanto riguarda la società in generale, che è comunque patriarcale, lì invece ci si aspetta di vedere un uomo come capo di Stato. E questa è un’opinione molto diffusa”.
La Duntsova parlava addirittura di possibili rapporti con il resto dell’Europa: “Credo che ci sia stato un momento in cui davvero eravamo riusciti a costruire dei buoni rapporti di amicizia. Avevamo persino parlato di uno spazio comune per viaggiare senza visto. Poi, a un certo punto, tutto si è bloccato. Dopo le manifestazioni, come quelle di Piazza Bolotnaya, abbiamo iniziato a chiuderci. Ma è importante ristabilire rapporti amichevoli tra i nostri Paesi, non solo a livello di scambi culturali, ma anche economici. Comprendiamo perfettamente che l’assenza di concorrenza sul mercato fa nascere i monopolisti, e così diventa più difficile regolare il mercato. Come si fa, poi, a spiegare questa situazione alle persone che ogni giorno vedono aumentare i prezzi al supermercato, o che non possono ottenere i medicinali per curare i propri figli per via delle sanzioni? Voglio dire, la risposta dell’Europa da un lato è comprensibile, ma dall’altro non si capisce perché queste sanzioni colpiscano le persone comuni. Per questo dobbiamo tornare a quel periodo in cui le relazioni erano basate sulla fiducia, a quando non si chiudevano i valichi di frontiera. Credo inoltre che si debba riportare in auge anche il diritto internazionale, perché garantisce il rispetto dei diritti e delle libertà sul territorio di un singolo Paese”. Parole che resteranno soltanto parole. Lo zar ha colpito ancora una volta: la Russia è roba sua.