Le decisioni stabilite nell’accordo chiamato “Il consenso degli Emirati Arabi Uniti” dopo 14 giorni di negoziati a Dubai
L’accordo, chiamato Il consenso degli Emirati Arabi Uniti e ritenuto il risultato più rilevante della conferenza del 2023, è stato giudicato da alcuni come un’utopia, da tanti altri come un importante traguardo. Dal 2000 ad oggi, infatti, mai in occasione dei negoziati sulla crisi climatica le parti erano arrivate a dire esplicitamente che un settore energetico così radicato, come quello dei combustibili fossili, dovesse essere abbandonato e sostituito da fonti buone, rinnovabili. Altra importante notizia arrivata da Dubai riguarda l’agricoltura: oltre 100 Paesi firmatari si sono uniti in una dichiarazione sull’agricoltura sostenibile che impegna i governi a sostenere i sistemi alimentari resilienti e includere il cibo e l’uso del suolo nei Piani nazionali climatici (NDC) entro la COP30, che si terrà tra due anni in Amazzonia.
Tornando all’abbandono dei combustibili fossili, nel corso del Global Stocktake – un processo quinquennale di valutazione dei progressi degli Stati verso il rispetto degli impegni presi nell’accordo di Parigi del 2015 – i partecipanti alla COP di Dubai hanno stabilito che fosse necessario, appunto, “allontanarsi dai combustibili fossili nei sistemi energetici”. Un richiamo esplicito che finalmente ha messo chiaramente in relazione i combustibili fossili al cambiamento climatico e che da molti analisti è stato considerato per questa ragione un passo “storico”.
Secondo il testo del Consenso degli Emirati Arabi Uniti, l’industria dei combustibili fossili, tuttavia, mantiene ampie libertà e spazi di manovra nel portare avanti tutte quelle attività che comportano una serie di danni irreversibili o comunque un impatto notevole sull’ambiente. E dunque iniziano a trapelare alcuni importanti limiti del traguardo raggiunto. Pur avendo la lobby dei combustibili fossili accolto l’invito a velocizzare la transizione verso la mitigazione climatica, per esempio con lo stoccaggio, la cattura e le tecniche di rimozione del carbonio, secondo parte della comunità scientifica questo impegno non è sufficiente e serve molto altro per arrivare a una netta riduzione delle emissioni. Dal testo del documento finale della COP28 emerge più volte la parola “compromesso”, anche quest’anno dunque non sono stati stabiliti limiti, né scadenze concrete, dati o numeri certi. Manca ancora un piano preciso fatto di date, obiettivi e impegni precisi da rispettare.
L’Italia alla COP28
Nel raggiungimento di queste conclusioni, quale posizione ha assunto l’Italia? Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presenziato ai lavori di Dubai in due giornate. In occasione del suo discorso ha confermato l’impegno dell’Italia nel rispettare alcuni vincoli: limitare la temperatura globale a 1,5°C, rientrare negli obiettivi europei per neutralità climatica entro il 2050, quindi la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030. La Premier, in linea con le altre potenze europee, ha inoltre sottolineato l’importanza dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili.
“L’Italia sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione, lo fa in modo pragmatico, con un approccio di neutralità tecnologica, libero dal radicalismo”, ha detto Meloni, che ha parlato della futura graduale eliminazione del carbone dai sistemi produttivi italiani, senza però citare le due fonti più nocive, ossia gas e petrolio. “La mia idea – ha detto la Premier – “è che se vogliamo essere efficaci, se vogliamo una sostenibilità ambientale che non comprometta la sfera economica e sociale, ciò che dobbiamo perseguire è una transizione ecologica, e non ideologica”. Un discorso che, tuttavia, ha ricevuto anche diverse critiche, per esempio da parte del WWF, che ha sottolineato quanto sia indispensabile che il Presidente del Consiglio e il Governo “aprano un processo partecipatoe interloquiscano con esperti e società civile, per garantire davvero una transizione giusta e al passo con la sfida climatica. Solo così avrà la visione necessaria per fare dell’Italia un Paese che guarda al futuro in un contesto di forte collaborazione internazionale”, si legge sul sito del WWF.
Le reazioni dall’Italia, richiesto l’intervento immediato del Governo
Diversi enti italiani impegnati nella battaglia per il clima e la salvaguardia della salute del Pianeta hanno sottolineato limiti e carenze dell’“accordo” raggiunto a Dubai. Tra questi, Italy for Climate e il WWF. “Pessima la menzione dei combustibili per la transizione, una transizione che gli interessi del gas tendono a rendere infinita ed enormemente più dispendiosa, proprio perché consistenti fondi tengono in piedi il sistema fossile. Controproducente anche l’inclusione di nucleare e cattura e stoccaggio del carbonio, elencati come tecnologie a zero e a basse emissioni”, ha commentato Maria Grazia Midulla, responsabile Clima ed energia per WWF Italia, che ha aggiunto: “In pratica, questo testo finale invita tutti i Paesi a seguire la scienza del clima dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e afferma l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, ma le indicazioni della decisione non sono in linea con questo obiettivo: per un Pianeta vivibile abbiamo bisogno della completa eliminazione di tutti i combustibili fossili e della transizione verso un futuro di energia rinnovabile nonché a un sistema votato a risparmiare energia e risorse e a usarle nel modo più efficiente possibile”.
Il Presidente di Legambiente Stefano Ciafani ha definito le conclusioni della Conferenza un importante passo avanti, spiegando però che “ora l’Italia deve fare la sua parte in linea con l’accelerazione che dovrà esserci a livello europeo e ascoltare la scienza”. Legambiente, come tante altre organizzazioni, chiedono al Governo un intervento immediato, “per esempio, la definizione di una road map nazionale per la decarbonizzazione che preveda in primis una revisione ambiziosa del PNIEC (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) per ridurre almeno del 65 per cento le emissioni entro il 2030, mentre la versione attuale ci consente solo il 40 per cento”, ha detto Ciafani. Ma non c’è solo il PNIEC, l’Italia deve urgentemente revisionare anche il PNACC (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici) che deve essere ancora approvato e avrebbe bisogno di ricevere ulteriori risorse per un efficace attuazione. Ci sarebbe, poi, anche un’altra urgenza che, non solo tanti attivisti per il clima, ma anche l’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), sottolineano da tempo, ossia la necessità di una legge sul clima che preveda il raggiungimento di una serie di importanti obiettivi, tra cui la costituzione di un Consiglio scientifico per il clima.
L’impegno dell’Italia
Tra i tanti annunci arrivati mentre Giorgia Meloni era a Dubai, quello che sicuramente ha avuto l’eco maggiore riguarda l’impegno dell’Italia nel fornire aiuti ai Paesi più poveri e vulnerabili. Il Presidente del Consiglio ha annunciato che l’Italia contribuirà con 130 milioni di euro al Fondo “Loss&Damage”, istituito in occasione della COP27 dell’anno scorso e di cui si è continuato a discutere e a mettere a punto alcuni aspetti fondamentali quest’anno. Una cifra inaspettata poiché piuttosto alta per il nostro Paese, considerando che altre grandi potenze hanno dichiarato di mettere a disposizione cifre ben inferiori: 60 milioni di sterline dalla Gran Bretagna, 17,5 milioni di dollari dagli Stati Uniti.
Giorgia Meloni ha poi ribadito che l’Italia è tra quei 100 Paesi che si impegnano a rinnovare i loro sistemi alimentari e agricoli. “L’Italia – ha detto la Premier – ha fra i più avanzati sistemi agricoli e la sicurezza alimentare è una delle nostre priorità strategiche. La sfida non è assicurare solo cibo per tutti, ma cibo sano per tutti”. Tema, quello dell’agricoltura sostenibile, che si lega anche al Piano Mattei per l’Africa, un progetto basato sulla collaborazione paritaria tra Roma e il continente africano e che la Premier Giorgia Meloni sta pubblicizzando da tempo. “Garantire colture resistenti alle malattie e resilienti ai cambiamenti climatici, ma anche ideare tecniche agricole sempre più moderne e innovative, in grado di migliorare sia la qualità che la quantità di produzioni e di ridurre le esternalità negative come l’eccessivo consumo di acqua. È su questo che siamo impegnati”, ha detto il Presidente del Consiglio, che ha sottolineato anche la necessità di dedicare risorse adeguate al nesso tra clima e sistemi alimentari. Alcune risorse sono già state stanziate: il 70% del Fondo italiano per il clima da 4,2 miliardi di euro sarà destinato ai Paesi africani. Si tratta di un fondo rotativo, con una dotazione di 840 milioni di euro annui dal 2022 al 2026 e di 40 milioni di euro annui dal 2027, che ha l’obiettivo di promuovere interventi di adattamento e contrasto al cambiamento climatico nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Lo strumento è affidato alla gestione di Cassa depositi e prestiti e, novità degli ultimi giorni, sarà integrato nel 2024 con 200 milioni in più. Un segnale positivo che mostra l’impegno del Governo nella finanza climatica, in linea con gli impegni internazionali per la lotta al cambiamento climatico. Indubbiamente, però, serve anche tanto altro. In primis, una revisione efficace del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, un piano strategico e purtroppo sempre più imprescindibile che presenta ancora molte lacune.