Niente di bello: stessa guerra, nuove bugie

«Se la guerra può essere innescata dalle bugie la pace può avere inizio con la verità». È probabilmente la frase più celebre pronunciata da Julian Assange e quella che caratterizza meglio il lavoro di WikiLeaks, l’organizzazione giornalistica fondata il 4 ottobre del 2006. Soprattutto, è una frase vera. Vera e attualissima. La maggior parte delle guerre degli ultimi decenni sono state innescate dalle menzogne. Della condizione delle donne afghane al cosiddetto “blocco occidentale” non è mai interessato nulla. Si è visto dal modo vile con il quale hanno lasciato il Paese in mano ai talebani un paio di anni fa. Gli Stati Uniti d’America volevano piazzare le loro basi in un Paese strategico che confina con l’Iran, con l’Asia centrale, ovvero con una serie di Paesi tuttora nell’orbita di Mosca e con la Cina. Il corridoio del Wakhan, infatti, una striscia sottile di territorio afghano, termina al confine con lo Xinjiang, una delle regioni autonome della Cina, quella dove vivono gli uiguri. Geopolitica dunque, solo geopolitica, distante anni luce dall’etica e dalla morale. Anche l’intervento militare in Libia ce l’hanno venduto come l’ennesima guerra umanitaria, poi abbiamo saputo la verità. In una mail segreta spedita da Sidney Blumenthal, storico collaboratore del Presidente Clinton, a sua moglie Hillary, all’epoca segretario di Stato USA e pubblicata da WikiLeaks, erano elencati gli obiettivi che Sarkozy, il principale sponsor dell’assassinio di Gheddafi, aveva in Libia. Aumento della quota di petrolio per la francese Total a discapito di Eni, desiderio di riaffermare l’esercito francese agli occhi del mondo, problemi politici interni da risolvere con una bella guerra che distrae la pubblica opinione ed eliminazione di un pericolo. Quale? Gheddafi ovviamente, un finanziatore di Sarkozy che prima o poi avrebbe potuto “cantare” al mondo intero dei milioni libici bonificati all’entourage di Sarkò per la sua campagna elettorale.

Niente di bello: stessa guerra, nuove bugie
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Inoltre, Gheddafi aveva ambizioni panafricane, pericolosissime per gli interessi francesi in Africa. Voleva infatti creare una moneta panafricana capace di sostituire il Franco CFA, ovvero le due valute utilizzate in vari Paesi africani che formano la zona Franco, una comunità monetaria sulla quale la Banca di Parigi ha tutt’oggi notevole influenza. Geopolitica e interessi anche in questo caso, altro che tutela dei diritti umani. La guerra in Iraq è nata a causa di una delle più vergognose menzogne della storia recente. Una menzogna affermata da politici USA ma che non avrebbe mai potuto giustificare una guerra se non fosse stata ignobilmente propagandata dai media di mezzo mondo. Se si interroga ChatGpt sulla più grande fake news degli ultimi 50 anni, rilanciata dalla stampa tradizionale, la risposta è “la presenza delle armi di distruzione di massa in Iraq nel periodo precedente all’invasione del 2003”. Centinaia di migliaia di persone assassinate dall’invasione voluta da Bush e Blair e basata sulle menzogne dei potenti diffuse da chi quei potenti li avrebbe dovuti controllare, non ossequiare. Aveva ragione Assange dunque, “le guerre posso essere innescate dalle menzogne”. Per di più, oltre a innescarle, le menzogne possono prolungarle. È il caso della guerra in Ucraina, ennesimo conflitto nato da troppe bugie come scrisse coraggiosamente mesi fa Barbara Spinelli sul Fatto Quotidiano e che prosegue anche grazie alle bugie e alla propaganda occidentale. Il blocco occidentale e la stampa a suo servizio, fin dal primo giorno, ci hanno fornito della guerra in Ucraina una narrazione del tutto propagandistica: quella dello scontro tra civiltà. Da una parte il bene assoluto, l’occidente libero e democratico, dall’altra il male assoluto, la Russia oscurantista, dittatoriale, guidata dal nuovo Hitler alias Putin.

Stessa guerra, nuove bugie – A cosa serve una narrazione del genere?

A farci accettare di tutto. Politiche energetiche contro gli interessi europei, sacrifici economici, pacchetti di armi inviati in barba alle nostre Costruzioni. D’altro canto, se si è nel bel mezzo di uno scontro di civiltà e con il demonio in persona dall’altra parte della barricata, indugiare non è consentito. Tale narrazione, proprio in quanto falsa, va alimentata quotidianamente. Non sia mai che qualcuno si dovesse accorgere del giochetto. Uno dei modi per alimentarla è accusare i russi di qualsiasi nefandezza. Non solo di quelle che innegabilmente hanno realizzato, ma anche di quelle delle quali non sono responsabili. È passato quasi un anno dal sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 nel Baltico. Di quel vero e proprio atto di guerra contro l’Europa vennero immediatamente accusati i russi. Poi è arrivato il grande giornalista americano Seymour Hersh – premio Pulitzer 1970 per aver svelato la strage di Mỹ Lai, civili vietnamiti trucidati dai soldati statunitensi – che in un articolo intitolato Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream ha svelato retroscena e ricordato una serie di prese di posizione pubbliche da parte di politici USA contro i gasdotti nel Baltico. Chiaramente, molti cani da riporto della carta stampata l’hanno trattato da complottista, eppure, con il passare dei mesi altre inchieste giornalistiche hanno mostrato quanto accusare i russi di aver distrutto un’infrastruttura realizzata anche con i loro denari fosse una sciocchezza. Il New York Times ha accusato gruppi ucraini, lo stesso hanno fatto il Der Spiegel e la tv pubblica tedesca ZDF. La verità prima o poi verrà a galla ma l’etichetta è stata messa nei giorni successivi ai sabotaggi. Un’etichetta colma di propaganda. Tutti i drammatici mesi di guerra sono stati caratterizzati da tale narrazione. Non vi è stata una sola nefandezza della quale non siano stati immediatamente accusati i russi.

Niente di bello: stessa guerra, nuove bugie
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Il missile caduto in Polonia, la distruzione della diga di Kakhovka, ultima la strage nel mercato di Kostiantynivka dello scorso 6 settembre (che ha provocato 17 morti e più di trenta feriti). Euronews: “I russi bombardano il mercato di Kostiantynivka, almeno 16 morti e decine di feriti”. La Stampa: “Non si ferma la guerra portata dal Cremlino: missili russi hanno colpito un mercato nella città di Kostiantynivka, nel Donetsk: 16 vittime e 33 feriti tra i civili. Anche un bambino è rimasto ucciso”. La Repubblica: “Missile sulle bancarelle. Putin fa strage al mercato: 17 morti tra le macerie”. Condanna unanime da UE, Casa Bianca, Berlino, Parigi e Roma. Zelensky ha definito la strage “un’azione di disumanità assoluta”, ovviamente l’ha fatto accusando i russi. Eppure, il 18 settembre scorso il New York Times, non certo la Pravda, ha pubblicato un’inchiesta sulle responsabilità ucraine per quanto riguarda la strage al mercato. Il giornale americano ritiene che in base a “frammenti di missili, immagini satellitari, resoconti di testimoni e post sui social media” la strage è stata provocata da “un missile di difesa aerea ucraino errante, lanciato da un sistema di lancio Buk”. Incidente o attacco premeditato? Non lo sapremo mai. Sappiamo, però, che anche in questo caso, con i cadaveri di quei disgraziati ancora caldi, la macchina della propaganda – più che anti-russa, anti-negoziato – era già all’opera. Ripeto, che i russi siano responsabili di nefandezze e assassinii è fuor di dubbio. Ma accusare per ogni crimine, strage, massacro, attentato sempre e solo i russi, in una guerra dove non esistono affatto buoni e cattivi, è pura narrazione bellicista. Ed è portata avanti scientemente da politici, giornali, social media e gruppi finanziari (il famigerato complesso militare-industriale) per una sola ragione: far continuare la guerra. D’altro canto, senza lo scontro di civiltà, senza la lotta tra bene e male, senza le balle sui russi in fuga, demotivati o costretti a combattere con le pale, molte più persone chiederebbero a gran voce un accordo, un negoziato, un compromesso. Parole che fanno orrore a chi, grazie a questa guerra, si sta arricchendo a dismisura, quel complesso militare-industriale e finanziario che non avrebbe tutta questa forza se non potesse contare su un sistema mediatico connivente, eticamente corrotto e moralmente responsabile. 

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