È un 15 di agosto di qualche anno fa, e io, proprio il 15 di agosto, decido che oggi mi piscio sotto, non in senso figurato, proprio mi piscio sotto, e lo faccio davanti a tutti e lo faccio perché di questo 15 di agosto voglio proprio ricordarmi che mi sono pisciata sotto per dimenticare tutto il resto. Il fuoco di questa giornata deve spostarsi da quello che il destino ha deciso per me e io lo modifico con un evento straordinario, insensato, vergognoso come quello di vedere una donna adulta, con più di 40 anni, vestita magari anche bene, che all’improvviso, non potendo più trattenere lo stimolo, si lascia andare, in piedi, in un bar, in un bar dove la conoscono tutti, dove va a scrivere, dove probabilmente adesso sto scrivendo. La donna si alza in piedi, si guarda intorno, e invece di fare due passi per andare alla toilette – che è proprio lì accanto – no, si lascia andare, rilassa la vescica e, nel momento in cui sente il rivolo scenderle giù tra le gambe, forse le escono anche due lacrime per questa vergogna imposta: un misto di vergogna, rabbia, anche potenza, anche potere, potere assoluto, coraggio di fare un’insensatezza così, questo potere che è quasi una forma di megalomania. Ma facciamo un passo indietro. Questa storia inizia come tutte le storie, ossia, con un amore che finisce e questo 15 agosto è il giorno in cui si sancisce questa fine. Ora l’amore, o meglio, la sofferenza per amore, non evolve, almeno in me, ero cretina a 18 anni, sono cretina adesso, soffro nello stesso modo, mi struggo nello stesso modo, non mollo. Se per me stessa avessi fatto gli sforzi che ho fatto per amore forse adesso avrei vinto l’oscar. Ma comunque, in amore, io sperimento tre fatti: la perdita di dignità, il fallimento, le figure di merda. Nelle mie storie d’amore questi tre aspetti si ripetono a rotazione e io, oggi, 15 di agosto, ho deciso di concentrarli in un unico cocktail esplosivo pisciandomi sotto. L’unica cosa che forse è migliorata con il tempo è la consapevolezza, ossia, a un certo punto della vita, alla decima storia finita, ho capito che per me sarebbe stato sempre così, non c’è più quella voce interiore che dice “vedrai, la prossima volta andrà meglio, avrai imparato la lezione, non perderai la dignità”. La mia voce interiore mi batte la stecca, anche con una certa soddisfazione. C’è per me, o meglio, per questa mia voce interiore, questo mio sabotatore, anche un certo gusto nel perdere la dignità, nelle figure di merda, nel fallimento.
Dunque, è il 15 di agosto di qualche anno fa, e già il fatto che sia un 15 di agosto mi fa rodere il culo, proprio perché è una data particolare, una festa che fa sì che la giornata non la dimenticherò. In più, il 15 di agosto a Roma, di norma, non c’è nessuno, o meglio, ci sono le persone che conosci poco, e che scopri essere in città dai social, o perché le incontri, e proprio perché ci sono solo loro e tu non hai voglia magari di rimanere sola come uno stronza, ci fai due chiacchiere, ti ci vai a prendere una birra, oppure se anche quelli che conosci poco non ci sono, o non vogliono prendersi una birra con te, ripieghi su quelli che ti stanno sul cazzo, dimenticandoti – per convenienza – perché ti stavano sul cazzo con domande tipo “ma perché Giovannella mi stava sul cazzo? Ma sai che non ricordo, ma forse era un mio pregiudizio, ma andiamoci a prendere una birra con Giovannella, anche perché se Giovannella mi ha invitata forse le sto simpatica, ma vediamo di far passare ’sta giornata rovente di agosto con una rivalutazione felice di Giovannella”. Poi ci vai a prendere una birra, non solo ti annoi a morte, ti ricordi pian piano perché ti stava sul cazzo, anche se non c’è un motivo reale, concreto, è a pelle, è quel fastidio che probabilmente è la proiezione di qualcosa di te che non ti piace, ma non fa niente, tu questa cosa la vedi nell’altra persona e dunque affanculo. E quindi, alticcia, a un certo punto ti congedi, ripromettendoti di non scacciare più la solitudine uscendo con quelli che ti stanno sul cazzo, e modifichi il suo numero di telefono memorizzandolo come Sono Giovannella, ricordati che ti sto sul cazzo. Per cui, lasciarsi il 15 di agosto senza avere veri amici intorno che si accollino te e le tue pene d’amore rende tutto più complicato. Lasciarsi il 15 di agosto, diciamocelo, è una cazzata. Così quel 15 di agosto mi sono alzata con questo pensiero di pisciarmi sotto, che forse va anche un po’ spiegato, mi sono detta, anzi, il mio sabotatore interiore ha detto: “Cosa c’è di più imponente di un bisogno primario che scaccia qualsiasi altra cosa? Cosa c’è di più imponente di un bisogno primario che non puoi governare e che si mangia tutto il resto? Arianna bella, noi oggi ci pisciamo sotto” – e me l’ha detto come fosse l’idea del secolo, mentre mi facevo il caffè. Questa proposta bizzarra del sabotatore mi ha fatto fare anche una risata, poi mi sono chiesta: “ma da dove mi viene questa assurdità?” e pensandoci su l’ho ricollegata a un passaggio di un libro che avevo finito da poco, un libro di Francesco Piccolo, scrittore che stimo e che incontro alle feste da 15 anni e da 15 anni ci presentiamo, ci guardiamo come a dire ‘ma noi ci siamo già visti’, poi però nessuno dei due fa qualcosa per andare oltre a una stretta di mano. Insomma, in questo romanzo di Piccolo a un certo punto lui soffre per amore, viene lasciato dalla fidanzata e grazie allo stimolo improvviso della fame si distrae momentaneamente dal dolore. Grazie a un bisogno primario ingovernabile, appunto, che scaccia tutto il resto. Il mio sabotatore interiore, direi un sabotatore psicopatico, non contento di aggrapparsi semplicemente allo stimolo della fame, mi consiglia, così di prima mattina, di andare all’appuntamento e far in modo di arrivarci avendo bevuto a sufficienza da farmi venire uno stimolo incontrollabile e, non contento, vorrebbe anche che questo stimolo incontrollabile arrivasse esattamente nel momento più doloroso dell’incontro. E infatti, grazie al mio sabotare interiore, mi sono ritrovata a cercare su Google “dopo quanto tempo dall’aver bevuto viene lo stimolo”, poi “quanti liquidi servono per riempire la vescica”. Mi sono bloccata “ferma così, non andiamo oltre”. Ho chiamato il mio amico Federico, l’ho avvertito: ‘Guarda, mi sono svegliata con questo pensiero che io oggi mi sa che mi piscio sotto’. Lui ha riso. Ho riso anche io, poi ho aggiunto: ‘Allora facciamo che o mi piscio sotto o mi ammazzo senza morire’. Lui ha optato per il pisciarsi sotto – ‘metti poi che ti ammazzi e muori, sarebbe un peccato’.
Mi sono preparata per uscire, mi son detta: “Ma pensa te se io adesso vado lì e faccio ’sta cosa? Mi metto una gonna, metti caso dovessi farlo, almeno mi nasconde un po’ di più. Ma è mai possibile che ’sto pensiero sia così prepotente?”. Sono uscita di casa, poca gente in giro, Roma rovente, il bar dove ho appuntamento è per me un luogo accogliente dove vado a scrivere, leggere, pensare, ubriacarmi, mi conoscono tutti, mi vogliono bene. Entro, Andrea il proprietario mi saluta, come stai oggi? come va? “Quasi bene” dico, adesso viene Matteo e mi lascia. Se piango soltanto è fatta. Vado a sedermi al solito divanetto, ordino un caffè, un bicchier d’acqua – “un bicchier d’acqua”, penso, “è controllabile e poi c’è il bagno qui a un metro, stai calma, non diciamo assurdità”. Arriva Matteo, mi sorride, si siede, ‘sei bella’ mi dice. Penso “dai, facciamo in fretta così vado a casa a suicidarmi senza morire”. ‘Hai mangiato?’, mi chiede, ‘Pranziamo insieme?’. Ordina una bottiglia di vino, un hamburger, chiacchieriamo, non arriva al dunque, mi chiede come è andata questa settimana, è dispiaciuto di essersi fatto sentire poco. Non mi vuole lasciare, sospetto. Cristo, non mi vuole lasciare. Matteo mi racconta cose, sembra felice. Lo ascolto, lo guardo, non gli credo, sta millantando una tranquillità che non esiste più tra noi. Lo interrompo: ‘Scusa Matteo, avevo capito che quest’incontro era per dirmi che, insomma, la nostra storia era finita. Pensavo volessi semplicemente rendere esplicito qualcosa di evidente’. ‘Mi stai lasciando?’ chiede lui. Dico, ‘no, ancora no, pensavo volessi farlo tu’. Allora qui lui si blocca, mi guarda: ‘Se devo dirti la verità, sì. Se devo dirti la verità, secondo me la nostra storia è finita ma non volevo chiuderla il 15 di agosto, volevo aspettare qualche giorno, passare un Ferragosto felice con te, mangiare, bere, dormire abbracciati, ma visto che hai tirato fuori l’argomento, sì, credo che la nostra storia sia finita da tempo, mancava solo dircelo. Vuoi parlarne? Vuoi che me ne vada?’.
‘Vai’, dico, mi alzo, intercetto lo sguardo di Andrea che mi fa: ‘Tutto ok?’ Tutto ok, rispondo con il pollice. Vado in bagno, mi siedo sulla tazza, mi interrogo, “sto bene?”. Sì, sto bene. “Sono una cretina che ho tirato fuori io l’argomento?”. Sì, sono una cretina, potevo godermi questa ultima giornata. “Mi fa male?”. No, sì, non lo so, “un po’”, mi rispondo. “E la pipì?” mi dice il mio sabotatore interno. Niente stimolo, ragazzo, niente. Esco dal bagno. Matteo è andato, Andrea mi offre un amaro, mi dice ‘dai, festeggiamo, inizia una nuova vita’, dico ‘sì, inizia una nuova vita’. Brindiamo, mi fa una carezza, mi offre anche un dolcetto, mi dice ‘rimani qui, non andare a casa, adesso ti faccio ubriacare, sei mia ospite, stai qui e ti presento tutti gli avventori occasionali’. Però mi gira un po’ la testa, sbadiglio. Ho sonno, che bello, “è un bisogno primario” penso, che bello, ho sonno. Vado a casa, gli dico, raccolgo le mie cose, la borsa, il telefono, sono le 4 di pomeriggio, la città è ancora rovente, Roma suda, le scarpe si incollano all’asfalto, cammino ciondolando verso casa, sento un leggerissimo stimolo nel basso ventre, forse devo fare pipì, rallento un po’ il passo, mi viene da ridere, “adesso faccio pipì camminando”, penso, da sola, per la strada. Rilascio per qualche secondo la vescica per capire se lo stimolo è reale. Sono quasi arrivata al portone, sì lo stimolo è reale, lo assecondo, non smetto di camminare, sento che scivola giù per le gambe, il mio sabotatore è felice, “dai, che almeno questa ci riesce!” esulta. Rido, aumento il passo per non incontrare nessuno, passa una signora col il cane, mi copro con la borsa, la gonna si sta bagnando, si bagnano le scarpe, i piedi, “che cazzo” penso, sono pazza, apro il portone, salgo le scale, ho finito, non lascio tracce per la rampa di scale, entro in casa, fradicia, mi spoglio, mi butto in vasca e sento il cellulare squillare, la voce di Siri: ‘SONO GIOVANNELLA, RICORDATI CHE TI STO SUL CAZZO’, lo ripete più volte: ‘SONO GIOVANNELLA, RICORDATI CHE TI STO SUL CAZZO’. Adesso non ti rispondo, Giovannella, forse dopo ti richiamo, perché mi stai, sì, sul cazzo, però è Ferragosto. Metto delle lenzuola pulite, profumate, accendo l’aria condizionata, mi butto a letto, abbraccio il cuscino, attorciglio le gambe al lenzuolo. “Mannaggia a Francesco Piccolo”, penso. Però pisciarsi sotto, certe volte, è bellissimo.