In Provenza cercando Van Gogh

Il mistral scompiglia la spiaggia di Saintes-Maries-de-la-Mer e invita i gabbiani a un valzer di sabbia. Questo vento da nord-ovest che sferza la Provenza, infilandosi nella valle del Rodano fino alla Camargue, è lo stesso che pettina le distese di lavanda intorno all’Abbazia di Sénanque, piega i girasoli ai piedi delle Alpilles, stuzzica i cipressi e i campi di grano, sfilacciando nuvole bianchissime nel cielo di luglio sulle tracce di Van Gogh, per i cittadini di Arles semplicemente il “rosso pazzo”. In questo cantuccio di Francia del sud, un trionfo di luce fuori dal tempo, un artista straordinario ha intinto per due fecondissimi anni il suo pennello struggente, restituendo al mondo lo spirito di una natura primordiale. A 133 anni dalla sua morte, che ricorrono il prossimo 29 luglio, raggiungiamo questi luoghi per ritrovare Vincent, tra uliveti e notti stellate che hanno fatto da balsamo all’animo inquieto del pittore olandese. Il 20 febbraio del 1888 Van Gogh arrivava ad Arles, graziosa perla della Camargue, la regione della Provenza dove il Piccolo Rodano e il Grande Rodano sfociano nel Mediterraneo. Era impaziente di spazzare via dal cuore due anni di eccessi di vita parigina, di “vedere un’altra luce”, inondando il freddo cromatismo nordico di un sole mediterraneo.

In Provenza cercando Van Gogh – La Casa gialla

Dopo aver preso una stanza all’hotel-ristorante Carrel, Van Gogh stabiliva il suo studio in una casa gialla “dipinta di giallo fuori, imbiancata a calce all’interno, in pieno sole” come scrisse in una delle lettere al fratello Theo. Il tour sulle tracce di Vincent inizia tra le stradine assolate di questa vivace porta d’accesso della Camargue, tra piazzette ombreggiate, l’anfiteatro romano, le terme di Costantino. Qui, Vincent dipinse circa 200 opere, ed è forse per questo che tutto, dalle strade alla campagna, somiglia a un sorprendente déjà-vu. Al numero 2 di Place de Lamartine sorgeva la celebre casetta gialla dipinta nel 1888, distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Accanto, non è difficile immaginare il Café de la Gare e il Ristorante Vénissac, dove Vincent era solito mangiare.

In Provenza cercando Van Gogh – L’Arena di Arles

Avvolto dai colori brillanti di Arles, Van Gogh lavorava senza sosta. Quando il mistral impazzava, si inginocchiava sulla tela e dipingeva in orizzontale, oppure legava il cavalletto a paletti di ferro ben piantati nel terreno. Poi spediva i suoi quadri al fratello Theo a Parigi, affinché tentasse di venderli. Immortalato nel dipinto Terrasse du Café le soir del 1888, le Café Van Gogh è oggi un romantico ritrovo all’ombra dei platani di Place du Forum. Costeggiando l’anfiteatro romano incrociamo la folla di spettatori che assisteva alla corrida, trasposta sulla tela Spettatori nell’arena. Il pomeriggio mi guida verso la necropoli di Les Alyscamps immortalata da Vincent in quattro dipinti. A poco più di un chilometro da qui, un’altra tela “vivente”. Dipinto nel 1889 Il cortile dell’ospedale di Arles ritrae il giardino dell’Hotel-Dieu, l’ospedale cinquecentesco di Arles dove il pittore fu ricoverato il 23 dicembre 1888 dopo essersi tagliato una parte dell’orecchio e averlo consegnato alla prostituta Rachele, avvolto in un foglio di giornale. Schizofrenia, disturbo bipolare, depressione, epilessia. Negli anni i medici hanno cercato di rintracciare in queste diagnosi l’eziologia delle sue tante crisi. Passeggiando tra ranuncoli, garofani, margherite, oleandri – gli stessi che fecero da cornice alla reclusione forzata del pittore – si avverte un senso di malinconia.

In Provenza cercando Van Gogh
Vincent van Gogh, Les épis verts, Arles, giugno 1888, Olio su tela, 65 x 54 cm, Gerusalemme, The Israel Museum, Donazione Fondation Hanadiv | Courtesy Van Gogh Foundation, Arles
 

In Provenza cercando Van Gogh – Vincent dialoga con l’Astrazione

A mettere in luce l’influenza della pittura di Vincent sull’arte di ogni tempo è una bella mostra temporanea in corso alla Fondation Vincent Van Gogh di Arles. Fino al 22 ottobre cinque dipintiBurrone con un piccolo ruscello, Alberi, e Sottobosco, dal Museo van Gogh di Amsterdam, Spighe verdi di grano dal Museo di Israele a Gerusalemme, Paesaggio con neve dal Museo Solomon R. Guggenheim di New York – dialogano con 132 lavori di 85 artiste da oltre 30 paesi, protagoniste di Action, Gesture, Paint: Women in Abstraction, A Global History (1940–1970). La presenza di Van Gogh, l’unica maschile in mostra, permette di leggere l’astrazione da una nuova angolazione, in un contesto incentrato sulla materialità della pittura. Come Niki de Saint Phalle, Bice Lazzari, Carol Rama, Maria Lassnig, Helen Frankenthaler Vincent cercava rinnovamento, volendo trascendere le convenzioni dell’arte e cercando di raggiungere con la sua pennellata un rapporto diretto tra azione ed espressione. Con queste artiste condivide l’idea di una pittura come arena, rappresentazione dell’inconscio, indice di incarnazione.

In Provenza cercando Van Gogh – Vincent a tu per tu con Frank Gehry

L’influsso di Vincent sull’archistar canadese Frank Gehry è evidente nell’avveniristico campo creativo LUMA. Dal sito occupato un tempo dalle officine ferroviarie della SNCF, al centro del Parc des Ateliers, questo centro destinato ad accogliere mostre temporanee, conferenze, performance, è un’opera d’arte in sé. Saliti in cima alla torre scintillante alta 56 metri, la vista su Arles, che ai nostri piedi sembra fluttuare sul Rodano, toglie il fiato. Gli 11.000 pannelli di acciaio inossidabile che ricoprono la facciata creano un effetto abbagliante. Il LUMA si ispira alle formazioni rocciose della regione di Arles, ma anche all’anfiteatro romano e agli effetti luminosi della Notte stellata che Vincent dipinse nel 1889, affacciato alla finestra del manicomio di Saint-Paul de Mausole, nella vicina Saint-Rémy-de-Provence. Ed eccola questa tranquilla cittadina a una trentina di chilometri da Arles. L’8 maggio 1889, quando la sua malattia lo rese ansioso al punto da essere accusato di comportamento indecente (avrebbe seguito alcune donne nelle loro case), fu lo stesso Vincent a farsi ricoverare nel manicomio di Saint-Paul. Quando lo raggiungiamo, in un pomeriggio di luglio, il paesaggio intorno è di una bellezza struggente. Al sicuro tra le mura di questo monastero trasformato in ospedale psichiatrico, curato dal dottor Théophile Peyron, Vincent visse uno dei periodi più produttivi della sua carriera, completando in un anno oltre 150 disegni e altrettanti dipinti, compresi i celebri Iris. Questa era la cura: due ore di bagni caldi e freddi alternati due volte alla settimana (sono ancora visibili le vasche). “Attraverso la finestra dalle sbarre di ferro intravedo un quadrato di grano in un recinto…”.Restiamo un po’ a goderci questa visione, una cornice di pace ai piedi delle Alpilles, mentre gli alberi che si staccano dal terreno in un turbinio di rami e di colori confondono tela e realtà. Solo qui si comprende come il mistral che anima covoni, colline e mandorli in fiore abbia rappresentato per Vincent una trasfigurazione che porta lontano, traducendo il suo sogno di evasione e la sete di assoluto.

In Provenza cercando Van Gogh
Vincent van Gogh, Paesaggio innevato, Arles, febbraio 1888, Olio su tela, 46.2 x 38.2, New York, Solomon R. Guggenheim Museum, Collezione Thannhauser | Courtesy Van Gogh Foundation, Arles

In Provenza cercando Van Gogh – Tra le barche di Saintes-Maries-de-la-Mer

L’arrivo nel piccolo villaggio di Saintes-Maries-de-la-Mernel nel tardo pomeriggio di un luglio sciolto, dopo un breve viaggio tra saline argentate, risaie allagate e distese abitate da tori e cavalli, è inebriante. La luce è esattamente quella descritta dal pittore, che vi arrivò in un giorno di giugno del 1888. “Il mare ha il colore degli sgombri, quindi cangiante…sulla spiaggia sabbiosa piccole barche verdi, rosse, blu, talmente belle nel colore e nelle forme che si potrebbe pensare a dei fiori”. Sono ancora poggiate sull’acqua, come Vincent le ricordava. Tutto, in questo paesaggio sospeso, sembra rinnovare il ricordo del suo pittore. Maria Salomé e Maria di Giacomo, le sante paleocristiane che danno il nome a questa cittadina a una quarantina di chilometri da Arles, arrivarono qui dalla Palestina per sfuggire alle persecuzioni. La leggenda vuole che fossero accompagnate da Santa Sara la Nera, patrona dei rom e dei popoli “gitani” per i quali la città è diventata un’importante meta di pellegrinaggio, quando gruppi di chitarristi, ballerini e mandriani a cavallo creano un caotico clima carnevalesco. Il profumo della paella è intenso. “Ora che ho visto il mare qui sento davvero l’importanza che c’è nello stare al sud e sentire l’Africa a due passi da noi”. In soli cinque giorni di soggiorno Vincent aveva realizzato ben nove disegni e tre dipinti. Sperava di tornarci in alta stagione, ma non ci riuscì. Forse si sarebbe concesso uno spezzatino di toro, accompagnato dal tipico riso locale. O sarebbe stato ore a contemplare un tramonto infinito con il cavalletto, la tela sulle spalle, i piedi nella sabbia. Mi siedo, Vincent sembra seguirmi. Lo vedo camminare sull’acqua, poi scomparire, inghiottito dalle prime stelle. Sembra felice, con lo sguardo lontano, verso l’orizzonte.

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