Europa in fiamme, mentre la Russia non crolla

Parigi brucia, Marsiglia è in rivolta. I tumulti hanno contagiato la Svizzera e il Belgio. Per le strade della capitale si vedono blindanti, poliziotti equipaggiati come i corpi speciali, barricate improvvisate utilizzando auto, spesso di lusso, rovesciate. Ad Haÿ-les-Roses, nella Valle della Marna, è stata attaccata la casa del sindaco. Sono centinaia i negozi saccheggiati. A Rosny-sous-Bois, una banlieue parigina, non lontano dalla basilica di Saint-Denis, la cattedrale che ospita le spoglie dei sovrani delle dinastie che hanno reso grande la Francia – dai Merovingi ai Borbone passando per i Capetingi – è stato assaltato un McDonald’s. A Lione sono stati appiccati incendi intorno a Place Bellecour. Macron ha annullato la sua visita in Germania, ha convocato l’unità di crisi interministeriale e ha deciso un dispiegamento di forze dell’ordine senza precedenti. Le proteste sono state scatenate dall’assassinio del giovane Nahel, ucciso da un poliziotto a Nanterre, una banlieue a nord-ovest di Parigi, ma è evidente che sono le diseguaglianze economiche e sociali, ancora una volta, il carburante delle proteste. La Francia (come in parte l’Italia) era un Paese all’avanguardia per quanto riguarda i diritti sociali ed economici. Poi sono arrivate le privatizzazioni (meno che in Italia ma pur sempre dolorose), le iniquità, e la forbice tra i ricchi, sempre più ricchi, e i poveri, sempre più poveri, si è allargata a dismisura. Questo è il quadro. Adesso pensate se quel che sta accadendo in Francia fosse accaduto in Russia. Immaginate i blindati sulla Piazza Rossa o lungo la prospettiva Nevskij a San Pietroburgo. Immaginate Putin che annulla una visita a Pechino per coordinare il dispiegamento delle forze di sicurezza nazionale, immaginate le periferie di Kazan o Volgograd date alle fiamme. Adesso pensate a quella che sarebbe la reazione occidentale. Maratone televisive, giornalisti eccitati nel poter dire, finalmente, “noi l’avevamo detto”, politici europei pronti a esprimere massima solidarietà ai rivoltosi e a condannare le repressioni da parte della polizia russa. D’altro canto, abbiamo un esempio fresco che ci induce a pensarla così. Il trattamento riservato dalla nostra stampa a Prigožin è stato patetico. Il giorno prima del presunto tentativo di golpe Prigožin era un macellaio e la Wagner, a detta di Crosetto e Tajani, era responsabile dell’aumento degli sbarchi in Italia. Il giorno della marcetta su Moscail cuoco di Putin” è diventato uno chef stellato, un sincero democratico, un liberale, un novello De Gaulle al quale aggrapparsi per liberare, finalmente, la Russia dalla dittatura. A proposito di Wagner, i Crosetto e i Tajani hanno smesso di tirarla in ballo per gli aumenti dei flussi migratori. Sapevano dall’inizio che si trattava di una balla colossale, ma evidentemente ritenevano che fosse strategicamente utile addossare ad altri le responsabilità dei propri fallimenti. Quando hanno capito che il miglior modo per trattare una questione scomoda come l’aumento degli sbarchi era evitare di parlarne (come fa il 90% dei giornalisti Assange) hanno smesso di menzionare la Wagner

Europa in fiamme mentre la Russia non crolla – Ma non è una sorpresa

Ma torniamo alla Russia e all’Europa. Per molti appare impossibile (francamente non a me) ma non è crollata. E questo nonostante sanzioni durissime. Autorevoli leader politici italiani avevano previsto il fallimento della Russia in pochi mesi. Non c’è stato. Io, anche su questa testata, scrissi che ritenevo difficile il crollo di un Paese indipendente dal punto di vista energetico, alimentare, idrico nonché tra i principali produttori al mondo di fertilizzanti. Un Paese, tra l’altro, abituato a soffrire shock economici ben più gravi di quelli prodotti dalle sanzioni occidentali. Sanzioni che, oggi più che mai, si mostrano per quel che sono. Non mezzi strategici per spingere la Russia al negoziato ma imposizioni volute dagli Stati Uniti e dal capitalismo finanziario (del quale i principali politici europei, a cominciare dalla von der Leyen sono succubi) per allontanare, per i prossimi trent’anni, la Russia, un grande continente dal punto di vista energetico, dall’Europa, un grande continente per quel che concerne tecnologie e consumi. Un obiettivo tradizionalmente britannico divenuto strategico per gli Stati Uniti con la crescita della Cina. Gli Stati Uniti avevano bisogno di vassalli per poter tentare di fronteggiare l’avanzata economica del Celeste Impero. Li hanno trovati in Europa soprattutto con l’uscita di scena della Merkel. L’Europa brucia, la Russia no. E lo scrivo con la morte nel cuore ma senza alcuno stupore.

Europa in fiamme, mentre la Russia non crolla

Da un anno e mezzo ci dicono che Putin è debole come non mai. Che ormai è in un vicolo cieco. A Putin sono state affibbiate decine di patologie diverse. Eppure, chi barcolla quando sale un palco, chi si confonde ripetutamente, chi, francamente, non appare più lucido da tempo è l’inquilino della Casa Bianca, non del Cremlino. È stato detto che la Russia è isolata ma nessuno osa spiegare le numerose richieste di adesione al gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Sudafrica e Cina). Tutti i principali produttori di petrolio del Medio Oriente (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein) sono interessati a far parte del gruppo. L’Iran, quarto Paese al mondo per riserve petrolifere, ha ufficialmente fatto richiesta di adesione. Lo stesso ha fatto l’Argentina, un Paese che, storicamente, guardava all’Europa. Anche l’Algeria, del cui rapporto con l’Italia Mario Draghi si è vantato ripetutamente, ha presentato domanda. Anche l’Algeria produce gas e petrolio. Una buona parte del gas lo vende al nostro Paese. Contestualmente acquista sistemi d’arma dalla Russia e con la Russia partecipa a esercitazioni militari come Vostok-22, le grandi esercitazioni che si sono svolte nell’Estremo Oriente russo lo scorso settembre. La Cina, sempre più vicina a Mosca (e la cosa non è una bella notizia per l’Europa), è riuscita a far sedere intorno allo stesso tavolo Iran e Arabia Saudita.

Europa in fiamme mentre la Russia non crolla – Benvenuti nella democrazia!

L’Iran, un Paese considerato parte dell’asse del male nonché alleato della Russia e l’Arabia Saudita, fino a pochi mesi fa l’alleato più importante (escluso Israele) per gli Stati Uniti in Medio Oriente. Il disgelo tra iraniani e sauditi, disgelo ottenuto dalla diplomazia cinese, ha consentito alla Siria di rientrare, dopo dodici anni, nella Lega Araba. Nell’Africa sub-sahariana si guarda sempre più a Mosca e Pechino che a Londra, Parigi o New York. Questo anche in virtù della nascita di movimenti panafricani che hanno fatto della memoria delle nefandezze del colonialismo occidentale un tratto distintivo delle loro politiche. Il ministro degli esteri russo Lavrov, nel silenzio dei media occidentali, tesse relazioni in Africa, in Sud America e con alcuni dei paesi più popolosi al mondo: Pakistan, Indonesia e Vietnam. Mentre accade tutto questo e la stampa occidentale (salvo rare eccezioni) evita accuratamente di parlarne (meglio pubblicare articoli su articoli sulla carenza in Russia di patatine fritte, sui soldati russi che combattono con le pale o sull’impossibilità per i giovani russi di trovare un Monopoly aggiornato) l’Europa brucia. Letteralmente e metaforicamente. Putin non è stato defenestrato; in compenso, nel Paese più antagonista a Mosca – il Regno Unito – in pochi mesi sono stati cacciati due primi ministri: Boris Johnson e Liz Truss. Macron è ormai inviso alla stragrande maggioranza dei francesi. La Germania, il motore economico d’Europa, il Paese che più di ogni altro giovava del rafforzamento delle relazioni con Mosca, è in recessione. In Italia, uno dei Paesi dove storicamente si votava di più, la maggior parte dei cittadini ormai diserta le urne. Come si può chiamare “democrazia” un sistema dove ormai vota meno del 50% degli aventi diritto e la percentuale è ancora più bassa tra i giovani? I Paesi europei hanno speso per l’emergenza energetica (provocata anche dalla guerra in Ucraina e dalla strategia occidentale) più di quello che hanno stanziato nel piano Next Generation EU, ovvero il fondo per affrontare nei prossimi anni le conseguenze della pandemia. Per non parlare dei miliardi in armamenti per Kiev spesi dai paesi europei. Nessuno sa quanti siano stati effettivamente. Sappiamo solo che la von der Leyen sostiene che sia di vitale importanza il raggiungimento del milione di munizioni pagate dall’UE per l’Ucraina. Sanzioni, criminali sabotaggi di infrastrutture europee strategiche per milioni di europei (Nord Stream, I e II), infiniti pacchetti di armi inviati in Ucraina. Il tutto per ottenere una guerra di logoramento (lo dice Stoltenberg) ovvero l’El Dorado per le fabbriche di armi e per la grande finanza che ne detiene i principali pacchetti azionari e che, a sua volta, ha messo le mani su gran parte dei social network, quelle reti sociali che pensiamo libere ma che libere non sono. Benvenuti nella democrazia!

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